31 maggio 2013

Quel che si intravede, o intuisce (direi, l'amore)


Prendi la cornice digitale dimenticata, ritrovata nel trasloco. In qualche modo riesci ad accenderla, a ricostruire come funziona. E si accende, le immagini scorrono lente, implacabile. Sei tu, dieci chili fa, occhiali da miope fa, amori fa, in altre immagini e viaggi e latitudini. E sei tu e non sei tu e questi cinque anni sono cinquecento o cinquemila.

E questa notte non è fatta per leggere o per guardare la tv. E' fatta per scrivere, per seguire immagini nuove che carichi sulla cornice e che sono di queste settimane. Settimane in cui hai cambiato casa, hai messo tutto quello che avevi in cento scatoloni, mani pesantemente delicate li hanno sollevati, li hanno portati giù dal quinto piano e poi su fino al sesto. Scatoloni e camion e scale e carrelli elevatori e tre giorni più scorrevoli del previsto in cui ti sei spostato dal Baxter Building e sei approdato alla Watchtower. 400 metri più ad est, una fermata d'autobus più verso il centro, stesso quartiere, stesso CAP, stessa parrocchia, stesso circolo del PD. Eppure, come mille miglia di distanza, come un viaggio in un altro pianeta. Eri in affitto prima, in quella piccola casa con quel grande terrazzo e cinquanta piante e il fantasma di un gatto e altri fantasmi che abitavano con te. Li avevi anche interrogati, una volta, con l'aiuto di un amico sensitivo (sensitivo sul serio, come nei fumetti), e ce n'era uno che proteggeva la casa o forse la infestava, con un nome impossibile, e nella descrizione sembrava il fantasma di un aborigeno, di un'anima antica, un tuo Gateway personale. E in quella casa ci avevi abitato sedici anni ed eppure non era tua, c'erano parti in cui non avevi mai messo piede, cassetti mai aperti, nodi chiusi cinque, dieci, quindici anni fa e mai sciolti, una carta da parati improvvisata per coprire la colonna in vetro verde smeraldo del salotto, creata con carta da preghiera cinese, a sei mani, una delle prime mattine di quel maggio 1997, e mai cambiata. C'era tanto amore in quella casa, ma negli anni si era unito al dolore, alle lacrime, all'inerzia della vita che non scorre, e alla fine c'era tutto, c'era troppo, un giardino sotto il cielo da cui la città si intravedeva appena, una casa che non era tua in troppi sensi.

E invece, qua, nel palazzo più a est, sei a casa. nella casa che hai trovato e comprato tra mille paure e incertezze e sacrifici, ma quella in cui sei entrato in una mattina di febbraio del 2012, quando era ancora di una vecchia signora che ci abitava da 43 anni, e ti sei detto "ecco, vorrei vivere qui, in questa specie di torre sospesa nel cielo, con le finestre da soffitto a parete che danno l'impressione di essere su una nuvola". 
Una casa che non ha nulla a che vedere con la precedente, e che è diventata tua undici mesi fa e che da allora è stata ripensata, praticamente distrutta e ricostruita, con tutta una serie di cose che volevi, un pavimento grezzo di quercia e cenere, le pareti bianche e grigie, ma un muro carta da zucchero in camera da letto, due piccoli terrazzini dove hai portato il limone, l'ulivo, il lauro, l'edera, un'acacia, le piante grasse, la parete a lavagna in cucina, la stanza dei fumetti.
Una casa che nasce così, per ora senza fantasmi, con l'odore di nuovo, la vista a sud, sulle colline da San Michele a San Luca, la città intravista a est, l'Appennino modenese che si intravede a ovest ma solo nelle mattine più terse. Una casa in cui sei a volte solo, altre in due, dove l'amore scorre assieme alla vita, dove ora sei uno ma presto sarai in due, una nuova famiglia che tra queste pareti camminerà, riderà, ascolterà musica e aspetterà l'alba, in un qualche mattino d'estate, guardando a est.

28 aprile 2013

Interview

Giusto perché non rimanga una fila di bit nel mio iPhone ecco il file completo spedito a Repubblica a tema Twitter, in occasione del Domenicale del 28 aprile 2013.

Enjoy!

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Nome, età, città, titolo di studio, professione, stato civile

Marco M. Lupoi - anni 48 - Bologna - un dottorato di ricerca in matematica lasciato a mezzo oltre vent'anni fa per dedicarmi al fumetto. Lavoro come direttore publishing del gruppo Panini, e seguo un programma di albi a fumetti di qualche migliaio di titoli annui, in almeno 10 paesi.
Il mio stato civile? Innamorato.

Da quanto Twitti?
Ho iniziato nel 2007, sono stato uno degli "early adopters", quando su Twitter non c'era nessuno o quasi in Italia e dovevi scrivere in inglese e in terza persona per farti ascoltare da qualcuno.

Quante tempo ci dedichi al giorno?
Difficile quantificare, dato che sono un lettore veloce e ho un metodo di scrittura impulsivo, di pancia. Qualche minuto nelle giornate lavorative, di più la sera o nei week end o negli eventi.


Perché pensi di aver tanto seguito?

Onestamente è un mistero anche per me. Mi seguono i miei lettori, raccolti in questi cinque lustri di fumetti, ma anche tanta gente capitata per caso. E poi Twitter ha un suo algoritmo per cui se hai tanti follower il sistema ti alimenta il numero, proponendoti come "persona da seguire". A un certo punto mi seguiva pure Obama (dio solo sa perché) e l'algoritmo si è ulteriormente rinvigorito.



C'è un twit di cui sei particolarmente "fiero"?

Quando uno ne scrive migliaia è difficile restare legati a uno in particolare. Peraltro io twitto su quattro filoni: il fumetto, i miei interessi (film e telefilm), la politica, e la mia vita privata (emozioni stati d'animo momenti).
Forse sono legato al tweet in cui ho dato il mio endorsement a Matteo Renzi, o tra quelli personali quelli in cui cerco di descrivere sottili malinconie, attimi, il passaggio del tempo, la qualità della luce. O anche gioie assolute o l'abisso della tristezza, Ma anche i tweet in cui parlo di mia madre (#mammapanzer) e delle sue idee politiche, o quelli in cui bacchetto twitteri che "tubano" in diretta con l'hashtag #getaroom

Ha cambiato in qualche modo la tua vita?
Sicuramente rispetto a un blog Twitter permette una condivisione immediata, istintiva, molto in sintonia con come sono. Quindi è stato per me diario, valvola di sfogo. Ma anche metodo di socializzazione: molte grandi amicizie sono nate da Twitter, amicizie in carne e ossa. Twitter è anche un po' chat, e questo è un aspetto importante, anche se vanno evitati eccessi in questo senso.

Che soddisfazione ti dà?
Quando catturi l'esperienza o l'idea che vuoi ricordare, e la immetti in un tweet, e sono 140 caratteri che rollano sulla lingua come un vino perfetto, allora sì, hai una certa soddisfazione, anche creativa: racchiudere in 140 caratteri un pensiero, un'idea, un'immagine, una recensione, è sempre arte di scrittura.

Quali sono le tue "regole"?

In coppia si può twittare solo a colazione. Mai insultare, usare turpiloquio (salvo disastri eccezionali). Mai fare spoiler di film o fumetti. Evitare abbreviazioni o scorciatoie. Rispettare ortografia (nei limiti del corretttore automatico dell'iphone. Riservare i tweet molto personali a orari iper notturni. Riservare i tweet importnati alle ore di massima audience (Twitter è come la Tv, ha i "ratings") Non esagerare nei retwitt.
Ma soprattutto essere se stessi. L'unica cosa ormai rimasta al mondo che valga la pena fare.

Twitter dà dipendenza?
Dopo un po' inizi a riconoscere quando un'idea un evento un pensiero sono "twittablli" (un po' come quando facendo un blog capisci cosa è bloggabile o meno).
Quindi ognuno di noi twitteri a qualche modo ha una dipendenza dal mezzo, più o meno sottile, più o meno nevrotica.

Hai fatto incontri o conoscenze di qualsiasi tipo grazie a Twitter?
Moltissimi amici e amiche. Anche qualche contatto professionale o para-professionale. Direi che su Twitter si incontrano amici e persone vere, Facebook è più strumento per … altre conoscenze.

Hai messo a frutto in qualche modo questo tuo "successo"?
Solo per farmi ammettere al quartier generale di Twitter a San Francisco come uno dei VIT italiani (Very Important Twitterer) e rimediare una visita guidata e la mia T-shirt favorita

Pensi che potrebbe accadere, magari come autore testi, giornalista, politico ecc...?
Diciamo che sono uno di quelli che uno spazio ufficiale per scrivere ce l'ha, tra le varie dozzine di collane di fumetti che dirigo, quindi Twitter mi serve a comunicare divertire ed espandere un mio mondo anche personale.

Quanto durerà il fenomeno Twitter?
Difficile a dirsi. Twitter rispetto a Facebook è stato un diesel. Ma proprio per come funziona si presta a informare e creare opinione in maniera più diretta. Quindi direi (e spero) a lungo.

Cosa ti irrita maggiormente di quanto viene detto a proposito di Twitter e di quanto accade su Twitter?
Che spesso chi ne parla non ha idea. Non ha mai visto un evento seguendo i tweet su scala mondiale e non ha mai provato a raccontare come ci si sente svegliandosi all'alba del primo giorno del resto della propria vita. Ecco. L'ignoranza. #soncose