17 gennaio 2014

Una luce così nordica

È sempre difficile trovare la mia voce … per il blog .... alterno pensieri lirici e pieni di spleen ad altri più freddi e distaccati e cinici. 

A volte penso che non dovrei fare altro che descrivere le cose che mi succedono dando loro semplicemente uno spazio maggiore rispetto ai 140 caratteri di Twitter.  

Parlare di come mi sono sentito salendo sul palco da solo al Ratcon, ricevendo l'applauso di 800 persone, e come mi sono riempito di adrenalina a tal punto che la mattina dopo ero sveglio alle 6.00, con tutta quella vita e quell'energia che mi scorrevano in corpo che non sapevo neppure dove metterle,
Posso parlare di una domenica mattina alle terme di Salsomaggiore, in quello spazio così liberty e decadente mescolato con un tentativo di modernità termale, quello spazio in cui vive qualche pezzo più antico di me, che continuo a rispettare e volermi tenere dentro, perché come dice il Dottore alias Matt Smith " Siamo tutti persone diverse nel corso della nostra vita e va bene, devi continuare a muoverti, a patto di ricordare tutte le persone che sei stato."

E poi c'è oggi, questo viaggio di un giorno a Parigi per lavoro. La sveglia alle cinque e quarantacinque, preceduta come sempre da un sonno che si spezza di continuo per l'ansia della partenza. Il decollo di notte, la bruma che diventa aria limpida che diventa nuvole che diventa cielo tra il sorgere del sole e il giorno, e la distesa senza fine delle nuvole sull'Europa, e io che la guardo come sempre cercando di respirare e rilassarmi e sentire (come sempre, come sempre) come ogni viaggio in aereo ti trasporti da un punto A a un punto B ma in quella sospensione dalla terra che è il volo ti trasformi anche dal sé che eri al decollo a quello che sarai all'atterraggio, una primitiva forma di teletrasporto dove quel che viene disintegrato e ricostruito non sono le tue molecole ma la tua anima,

Poi, a Parigi. Muoversi in taxi e in metro. Bere uno strano caffè, mangiare un croque-monsieur, e fare incontri di lavoro in francese, questa lingua che conosco in maniera limitata, ma all'occorrenza mi sciolgo e mi butto e mi invento quel che non so, e faccio giri di parole attorno alle espressioni che non ricordo, ma alla fine quello che devo dire si capisce. Fuori, guardo il fiume e i palazzi di questa prima periferia dove ci sono più acciaio e vetro che non pietra e mattoni,  mi immagino se mai un giorno abiterò qui e so che non sarà così, ma per un attimo in un tardo pomeriggio dalla luce quasi nordica, mi dico di sì. 
Aspetto l'ora del volo di ritorno camminando attorno a Rue S.te Croix De La Bretonnnerie. Me lo ricordo, questo budello del Marais, dal 1989, quando era tutto un locale, un bar fetente, un ristorante marocchino, un Sex-Shop. Ora di anno in anno si imborghesisce di più, al posto del Sex Shop hanno aperto un negozio di macarons. Resta l'albergo a tre stelle dove sono sceso non meno di tre volte, in quei primi anni '90, e in cui ora non mi fiderei più a mettere piede, per la mia unica vera forma di snobismo tardivo, ossia l'amore per gli alberghi di design dalle 4 stelle in su. Ma ci passo davanti e ricordo quell'altro tempo e quell'altro Marco meno complicato, e dal 2014 gli sorrido.

Infine, di nuovo in volo. Stavolta l'Europa è senza nuvole. Una luna piena perfetta (?) si riflette sui corpi d'acqua sottostanti e man mano che ci muoviamo la sua luce a terra si sposta, un flash dopo l'altro, surreali esplosioni che possiamo vedere solo noi, da quassù.