30 dicembre 2006

Universo HQ


Mi capita spesso di dedicarmi sul lavoro per settimane e mesi a operazioni a dir poco ciclopiche, la cui esistenza passa del tutto non-percepita a voi lettori italiani del blog. E' questo il caso della negoziazione per il rinnovo dei diritti DC in Brasile, di cui parla - con una mia intervista esclusiva - questo sito brasilianodi news sul fumetto. Andatevelo a leggere per saperne di più...

28 dicembre 2006

Cose fatta tra Natale e Capodanno


Vi avevo promesso di raccontarvi qualcosa della cena di Natale di Panini Comics. Quest'anno siamo riusciti a farla in un agriturismo che ci ha gentilmente concesso di mettere su della musica e ballare un po'. Il tema della serata erano gli anni '80 e un certo numero di redattori si è presentato vestito in maniera impeccabile, fard attorno agli occhi, look alternativamente punk o paninaro. Gianluca Roncaglia, l'impacabile caporedattore degli albi italiani, si è esibito come DJ, salvo un finale di serata del proferrionalissimo Marco Ricompensa. Tony Verdini si è esibito nella breakdance, Nicola Spano in una replica di David Bowie, Paola Carpi in un look ferocissimo, Elisa Panzani in versione paninara discotechera.

Ho letto gran parte di Treno di Notte per Lisbona, di Pascal Mercier, un libro svizzero ambientato tra Berna e Lisbona. E' stato presentato come il nuovo"Ombra del vento", anche se con il romanzo spagnolo ha poco a che spartire, a parte la presenza quasi magica di antichi libri capaci di mutare il destino degli uomini. Piuttosto, TDNPL è un vero e proprio "giallo dell'anima", un enigma psicologico, e sarà per i miei interessi nel settore, sarà per l'abilità dell'autore, me lo sto godendo come o forse più del libro di Zafon. Un noioso ma geniale professore di lettere classiche di Berna, Raimond Gregorius, in una mattina come le altre, impedisce a una giovane portoghese di gettarsi da un ponte, e da questo incontro nascerà la decisione di lasciarsi alle spalle la vita in Svizzera per andare a Lisbona sulle tracce di uno scrittore morto trent'anni prima, nella cui esistenza e nei cui testi Raimond troverà l'eco delle proprie inquietudini e della propria volontà di cambiamento e trasformazione. Se vi piacciono i grandi romanzi europei, che dai luoghi e dai sapori del nostro meraviglioso continente traggono sostanza, direi che è il libro per voi.

Ho comprato in Spagna il cofanetto della IV stagione di Six Feet Under, che contiene il doppiaggio in castigliano E in italiano (e non si capisce a questo punto cosa aspetti Italia Uno a metterla in onda). Mi sono visto finora solo il primo episodio e confermo tutto. Magnifico, davvero un capolavoro, l'ho visto pensando a quanto era brillante la sceneggiatura, quanto erano azzeccati i dialoghi, e a quanto poco ci vorrebbe per produrre della TV di qualità: basterebbe buttare nella spazzatura i luoghi comuni, e far dire ai personaggi, alle persone, delle cose originali e reali.

Ho anche fatto una scorpacciata di "numeri uno" marvelliani, appena arrivati in redazione freschi freschi dagli States. Mi è piaciuto REIGN, versione distopica del futuro di Spider-Man, scritta e disegnata da Kaare Andrews, e NEWUNIVERSAL, la ri-creazione del New Universe a opera di Ellis e Larroca. Forte anche ULTIMATE VISION, che conferma il momento felice della linea ULTIMATE. Godevoli gli speciali dedicati a Stan Lee, anche per le storie in appendice, replica di alcune delle migliori pagine scritte da "The Man". Infine, sono da sempre un fan di Pugno D'Acciaio, fin dalle storie che leggevo su SHANG CHI della Corno un paio di decenni fa. La sua nuova miniserie, scritta da un emulo/amico di Ed Brubaker, THE IMMORTAL IRON FIST, non è niente male, anzi, si legge con entusiasmo.
Nel complesso, a parte due o tre uscite, direi che il "paccone" marvelliano è pubblicabile al 100%, e assolutamente di qualità medio/alta o eccelsa. Fuor di piaggeria, giuro...

24 dicembre 2006

The season to be jolly





Poche righe pre-natalizie. Sono stremato da party e cene festive mescolate a un "rush" finale mozziafiato (vi basti sapere che ho firmato gli ultimi contratti di licenza mezz'ora fa, per farli spedire mercoledì via corriere, anche se sarò in ferie).
Se trovo un'oretta nei prossimi giorni, di cose da raccontare ne ho parecchi, dalla cena con i miei compagni del servizio militare (giuro) alla festa anni '80 della Panini Comics, all'ultima infornata di notizie fumettose del 2006. Per ora.... godetevi questa incredibile foto natalizia del sottoscritto con Tony ed Elisa...

Buone Feste a tutti!

19 dicembre 2006

Chotto chotto chotto





Pensavo di avere perduto un centinaio di foto scattate nei primi due giorni in Giappone, cadute vittima di una defaillance informatica della mia scheda SD da due giga, quando l'applicazione di un software specifico di recupero dati mi ha permesso di recuperare non solo quelle, ma anche tutta una serie di altre immagini degli ultimi mesi, che pensavo ormai scomparse. E' buffo come i ricordi a volte siano come i file JPG di quella scheda, presenti nella mente, ma a volte invisibili, danneggiati e non elencati nella directory, ma lì, presenti, pronti a rimaterializzarsi non appena si trova nella rete neurale del cervello il software giusto per riportarli alla luce. Adesso che sono di nuovo a casa, con la gatta che dorme al mio fianco, reduce dai primi due giorni di ritorno al lavoro, riemergono alcuni sprazzi della settimana scorsa a Tokyo.

Il lavoro è stato molto intenso, con giornate che mi hanno visto sfrecciare da un lato all'altro di Tokyo, coinvolto fino a quattro diversi appuntamenti nell'arco di 8 ore (e se pensate che ci vuole almeno un'ora per uno spostamento medio nella capitale nipponica, e che un appuntamento meno di due ore non dura, capite l'intensità di un viaggio come questo). Sulla piazza mi è parso che il re della situazione fosse BLEACH, presente un po' ovunque, seguito dal nuovo cartone di D-GRAY MAN, dal secondo film di NANA, e dall'accoppiata cartoon/manga di BLACK LAGOON.

L'aspetto culinario - a parte le due occasioni in cui abbiamo dovuto mangiare dei panini al volo - è stato notevole, e insolito. Da un teppanyaki alla Sumitomo Tower, con un cuoco personale che in diretta ci ha cotto davanti al naso gamberoni e bistecche, fino a un ristorante fusion italo-giapponese a Ebisu, con sushi di carpaccio e altre delicatessen in linea, per passare al francese di cui nell'ultimo post o a uno strepitoso cinese stile In the mood for now dove per la prima volta in vita mia ho mangiato zuppa di pinna di pescecane e gamberoni allo zenzero con contorno di meduse essiccate o a un ristorante a tema Sette Samurai dove abbiamo mangiato lo shabu shabu di carne di maiale.

Tempo per lo shopping ce n'è stato poco, un paio d'ore il venerdì e un sabato pomeriggio da brivido con svariati milioni di persone in giro per la città, ma è stato allietato dallo yen straordinariamente debole, grazie al quale si poteva comprare un iPod da 80 giga a 260 euro anziché 399, o una polo Ralph Loren a maniche lunghe a 68 euro anziché 90. E le solite cavolatine da Giappone che compro sempre (i calendari e i quaderni di Muji, gli accessori da cucina di Tokyo Hands, i calzini di Uniqlo, le penne Dr Grip) quest'anno avevano prezzi a dir poco irrisori.

E il resto? Per chi ha visto Lost in translation, in un viaggio di lavoro in Giappone il resto di solito sono ore di insonnia, di sonno o di veglia, sostanzialmente nell'hotel e nei suoi spazi (la camera, la piscina, il bar, la lobby), o negli infiniti mezzi di trasporto, i treni, i taxi, la metro, perduti negli itinerari, nel labirinto urbano di Tokyo, in questa città che di giorno appare grigia e plumbea, soprattutto quando il cielo ceruleo ci ricorda che siamo a dicembre, ma di notte si colora di mille luci, diventa un caledoiscopio di insegne, uno sfarfallio cromatico unico al mondo.

14 dicembre 2006

Stavolta


Stavolta in Giappone non ho il jet lag. Per la prima volta da sempre, a queste latitudini, dormo come un bambino, sotto il piumino, al ventiquattresimo piano del Century Hyatt.
Stavolta in Giappone il tempo è meno regolare. Giornate soleggiate e terse si alternano a momenti di pioggia, ma leggera, niente di torrenziale.
Dispepsia, ne ho avuta pochissima, giusto un'inezia, il primo giorno.
Il resto è abbastanza uguale, e sottoscrivo tutte le cose che ho scritto un anno fa, in un viaggio identico a questo, eppure così diverso. Di cose da dire sul Giappone, nuove e diverse, ne ho comunque. Tipo che una mela costa 4 euro e sembra cresciuta in una vasca idroponica. Tipo che ho mangiato francese al quarantunesimo piano dell'altro Hyatt, il Park, quello di Lost in Translation, con tutta Tokyo umida di pioggia ai miei piedi. Tipo che ho visto un'ora di animazione così innovativa, così "forte" che penso possa per una volta piacere al di là della cerchia ristretta dei fan. Tipo che a dicembre ci sono ancora le piante con le foglie gialle, che per la prima volta ho dovuto saltare due pranzi da quanti meeting avevo, tipo che ho mangiato al teppanyaki dei gamberi che mi hanno ucciso e cucinato in diretta davanti agli occhi, tipo che sono le 00.33 ed è ora di andare a dormire se domani voglio alzarmi presto e affrontare gli ultimi due appuntamenti.

11 dicembre 2006

A due passi dal Giappone



Dal cielo, di notte, potrei essere sopra l’Irlanda, la Grecia o la Basilicata, ma la luminosità fuori dal finestrino, in fondo sulla destra dell’orizzonte, è un’aurora boreale. Lo schermo verde dell’Alitalia davanti alla mia poltrona mi fa vedere la Kamchatka sul filo dell’orizzonte, e sotto di noi l’Aldan Plateau, nel cuore della Siberia.
Dei viaggi in Giappone l’emozione più grande è essere qui, in questo non luogo, dove andare via terra à inaffrontabile, ma che dall’alto regala spesso emozioni fortissime, distese di ghiaccio, montagne, strade innevate che nessuno sembra aver percorso da settimane, angoli di mondo così aspri e inospitali che ci ricordano quanto poco – alla fine - sappiamo o godiamo di questo nostro sventurato, magico, meraviglioso pianeta.
Tra tre ore si atterra, e inizia il pellegrinaggio nipponico Panini Comics 2007, anche quest’anno in versione dicembrina. I colleghi con cui viaggio hanno scelto tutti altre soluzioni, io mi sono rivolto ad Alitalia, la compagnia di bandiera, cui con tutte le sue magagne rimango comunque affezionato.

E prima di immergervi/immergermi in post sul Giappone, approfitto di queste ultime ore in aria per chiudere alcuni loose ends degli ultimi giorni, e parlarvi di due-tre cose che ho visto, letto e pensato in queste giornate convulse tra concerti, voli aerei e funerali.

Ho letto tutto d’un fiato IL BRAVO FIGLIO di Vittorio Bongiorno, romanzo edito da Rizzoli e di recente uscita. La lettura non è casuale dato che Vittorio è amico di mio fratello e per converso anche mio (ha addirittura vissuto a casa di mia madre per un periodo, occupando la mia camera da ragazzo, e si vanta di aver dormito nel letto di MML… “Senza di me”, aggiungo solitamente ;¬) ). Immaginate quindi quanto sia difficile recensire il romanzo di un amico: se lo sbrodo, penserete che è per piaggeria. Se lo stronco, penserete, “Che vigliacco, questo! Bell’amico”. Quindi, vediamo di fare una recensione obiettiva… Il romanzo racconta dell’adolescenza di Nino, figlio di un giudice, catapultato da Bologna a Palermo negli anni che precedono i delitti Falcone e Borsellino, e della sua amicizia con un ragazzo del luogo, Turi, figlio di un personaggio “losco” collegato alla mala in modi che non vengono mai del tutto sviscerati. La parte centrale del romanzo, la migliore, racconta della formazione dei due ragazzi, della loro adolescenza tra scorribande, sesso, confidenze, poesia, ribellione sotterranea ai padri e alla loro assenza/ingombranza. L’aspetto che mi ha catturato è la leggerezza con cui Vittorio riprende le giornate dei ragazzi, anche negli aspetti più duri e trasgressivi, con quella levità propria degli adolescenti, che sono capaci di un pomeriggio di vandalismo e sesso orale e poi di andarsene a prendere un gelato e a ridere come se niente fosse. La dote per la scrittura di Vittorio riflette molto il suo modo di essere, questo altalenare tra jest e intensità. Il rapporto tra Nino e il padre è descritto così bene, in maniera così originale e intensa, ma sempre con pennellate brevi e talentuose, che da solo vale il prezzo del biglietto.
Cosa non mi è piaciuto? Beh, sicuramente lo avrei voluto più lungo. Ci sono tali e tanti spunti non sviluppati nel romanzo, che si sente che altre 100 pagine (scusa Vittorio) avrebbero giovato. Il rapporto di Turi con il padre, per esempio, si percepisce solo in controluce, non viene mai sviluppato. Il motivo è stilistico, dato che è Nino in prima persona a scrivere, e quindi dell’altra coppia padre-figlio ci racconta solo dei barlumi, degli sprazzi. Ci racconta solo quello che ha visto e percepito. Solo che a noi lettori un po’ non basta. Vorremmo di più. Chissà, magari Vittorio potrebbe scrivere IL CATTIVO FIGLIO e raccontarci la stessa storia, vista da Turi…
Comunque, se volete conoscere un nuovo scrittore che farà strada, non perdetelo.

Altra lettura bruciata in poche ore: ECHO PARK, il nuovo giallo di Michael Connelly dedicato al detective Bosch (appena uscito in USA e inedito in Italia, in attesa che Piemme lo faccia uscire con un qualche improbabile titolo tipo IL PARCO DELL’ECO o MISTERI DAL PASSATO). La mia conoscenza con Connelly è avvenuta alcuni anni fa e in maniera abbastanza bizzarra. Il mio giallista preferito è probabilmente l’irlandese John Connolly (l’autore di TUTTO CIO’ CHE MUORE) e prima o poi vi farò un mega post tutto dedicato a lui. A Connelly mi sono dedicato un inverno di alcuni anni fa… perché di Connolly avevo letto tutto il leggibile, volevo continuare la full immersion nel thriller, e siccome avevano i cognomi simili (notare la logica irrazionale del sottoscritto) mi sono buttato sul più prolifico collega californiano. Ho saggiato il prodotto con IL POETA e BLOOD WORK, i primi due romanzi “liberi” di Connelly e sono rimasto conquistato (sono anche i libri che consiglio a voi se volete entrare nel suo mondo).
Con un mega ordine da Amazon, mi sono preso l’opera omnia di Connelly all’epoca, il che significava i primi sette romanzi dedicati al detective Hyeronimus (Harry) Bosch, e me li sono letti uno al giorno in una pigrissima settimana tra Natale e Capodanno. Da allora, a ogni uscita, non perdo uno dei suoi romanzi, e ora siamo arrivati a quota 13 romanzi di Bosch, più quattro romanzi fuori serie, i due “liberi” citati prima e i più recenti CHASING THE DIME e THE LINCOLN LAWYER (che ho preso ma non ancora letto). Notare che le continuità de IL POETA e BLOOD WORK sono state poi innestata nei romanzi di Bosch, che riprendono le vicende di ambedue i romanzi innestandole nella continuity della serie principale (e poi dicono che la Marvel non fa scuola…).
Connelly non ha le aspirazioni letterarie di tanti suoi colleghi, scrive in maniera concisa, senza fronzoli. Ha un bello spirito anticonvenzionale, e soprattutto dipinge i suoi personaggi (Bosch, le sue donne, i suoi capi, i suoi colleghi, i suoi avversari) a tutto tondo, con pochi tratti, e romanzo dopo romanzo Bosch ti si insinua nella mente, e inizi a pensare come lui. Bosch non è un buono tradizionale, è un sopravvissuto della guerra del Viet-nam, un sopravvissuto alla morte violenta della propria madre e a un’infinità di orfanotrofi, Bosch ha pietà per le vittime, dall’ultima prostituta maciullata perché era un “nessuno” che a nessuno sarebbe mancata, al padre di famiglia freddato davanti a un bancomat. Non teme di sfidare il sistema, andare controcorrente, alimentato da grandi appetiti (per le donne, per il cibo) e da un amore fortissimo per la sua città Los Angeles, che è quasi la coprotagonista dei vari romanzi, descritta quartiere per quartiere con forte quantità di dettagli e osservazioni di colore.

Ultimo pezzo del post.
And now for something completely different…

Una mia amica mi ha raccontato di essere stata mollata dal suo ragazzo, da un’ora all’altra, per e-mail. Anzi, con un’e-mail di quattro (4) righe (la solita storia: non sei tu, sono io). Mi ha chiesto di postare nel blog la cosa, della serie “O tempora, o mores”. Alla mia amica voglio solo dire che

a) poteva andarti peggio, poteva mollarti per SMS. O dire alla sua segretaria di mollarti. O mollarti per raccomandata A.R.
b) poteva andarti MOLTO peggio: ricordo che nel 1992 sono stato convocato a Parma, fatto sedere sul divano, mollato con poche parole (la solita storia, non sei tu, sono io) e rispedito a Bologna con la coda tra le gambe. 180 chilometri a vuoto solo per essere mollati sono un po’ frustranti. Era meglio una mail, se fossero esistite le mail all’epoca
c) ci sono ancora circa--- ugh---tre miliardi di uomini sul pianeta. Almeno 10 o 20 di loro sono la tua anima gemella, tranquilla…

Beh, nello scrivere questo papiro siamo passati dalla notte al giorno, un’alba arancione come poche si intravede oltre le nuvole. Il Giappone è a pochi minuti, pochi battiti del cuore.

07 dicembre 2006

And then, you die.


Non l’ho mai visto, in questi ultimi mesi. Lo ricordo quest’estate in spiaggia, sotto l’ombrellone, che come sempre non voleva fare il bagno, e restava in camicia, scarpe di tela e pantaloncini, con quel suo sorriso di giorno in giorno più assente, ma sempre dolce. I capelli lisci con la riga, bianchi, 83 anni e l’Halzeimer. Sua moglie voleva stare in acqua, non sarebbe mai uscita, e lui la fissava seduto sulla sdraio, e se a volte le correnti la trasportavano a pochi metri di distanza, si guardava in giro, perso, cercandola con lo sguardo, quasi che la temesse inghiottita dall’acqua.
Ci sfidava ancora a carte, non parlava praticamente più, ma al cinquillo era imbattibile. Non riconosceva le monetine di euro, erano tutte uguali, ma con che soddisfazione chiudeva e raccoglieva il piatto, nei pomeriggi di agosto, sul terrazzo, con il mediterraneo in fondo, e un’unica palma con colombe e pappagalli, tra noi e il mare.
In questi mesi, ho seguito da lontano il suo rapidissimo spegnersi, come se in poche settimane avesse deciso di togliere il disturbo, e di farsi bruciare dal male, il male implacabile e antico, che arriva a saccheggiare il corpo dopo che la mente già si è spenta, e non è per questo meno crudele, meno impietoso. L’ho sentito solo una volta, al telefono, a inizio novembre, quando suo figlio me l’ha passato, e io non pensavo nemmeno mi riconoscesse, ma gli hanno detto “E’ Marco, papà”, e lui ha sussurrato un “Ciao Marco” che mi e sembrato un dono così prezioso, l’ultimo saluto di un padre, quasi a compensare un altro addio che non c’è stato, tanti anni fa.

Poi, martedì mattina, alle quattro, la sola telefonata che può arrivare nelle ore prima dell’alba, e non sorprenderci, perché sappiamo che quando il telefono squilla nel buio che precede la luce, di solito è per dirci che qualcuno ci ha lasciati. E così, parto comunque per Londra, alle sette , perché l’appuntamento di lavoro di oggi è uno di quelli cruciali, irrinunciabili, ma cambio l’orario, lo anticipo, e alle due mollo tutto e vado a Heathrow, per imbarcarmi verso Granada. Mi ero ripromesso che ci sarei stato, al funerale, a qualsiasi costo,; al figlio, alla mogli, ho detto “Non preoccupatevi. Ci sarò, e sarò la vostra roccia”. e mentre cammino sotto la pioggia di Londra e pianifico gli spostamenti, penso che non abbiamo niente di più prezioso della nostra parola, e che non vorrei mancare a questo appuntamento per niente al mondo.

Quindi, da Londra a Madrid, da Madrid a Granada, il viaggio si dipana sotto la pioggia, mentre un’ondata di perturbazioni percorre il continente, e le piste di atterraggio sono enormi pozzanghere, e la notte scende sull’Europa, con l’inverno che inizia a stringere la sua morsa, per la prima volta quest’anno.

All’arrivo, poco prima di mezzanotte, anche Granada mi accoglie con la pioggia. La città con le sue luci arancio e la mole del suo centro collinare, con l’Alhambra in cima, sembra un paesaggio da incubo, sovrastata da questo cielo grigio, e bianco, e nero, spettrale. Nella camera ardente, sotto gli ulivi, lo vedo nella bara, ormai l’ombra dell’uomo che era, svuotato, smagrito, consumato, ma decoroso nel suo abito grigio, finalmente in pace. E da quel momento sono 24 ore di poco sonno, di lacrime, abbracci, strette di mano, caffè, una cerimonia, una piccola processione, e poi il cimitero del paese, in mezzo ai campi di tabacco, poche tombe, qualche cipresso. Non sono una roccia, alla fine, ma forse non c’è bisogno di questo, piuttosto di qualcuno con cui condividere le lacrime.

Lo lascio lì, tra quelle mura bianche, a fianco di quella cortina di pioppi, nel paese dove era nato e da cui se ne era andato quarant’anni fa, sfidando la sorte e lasciando l’Andalusia per Barcellona, vicino ai secaderos di tabacco di cui mi aveva parlato più volte. E finalmente il sole si fa vedere, squarcia le nubi, esalta sullo sfondo la Sierra coperta di neve. Juan è in pace, per la prima volta da molto tempo.

Adesso che scrivo queste righe, nella sua casa irrealmente silenziosa, mentre la sua famiglia dorme e l’unico fantasma ancora in piedi sono io, penso a quanto sono complesse le vie della vita, dell’amicizia e dell’amore, che mi hanno portato qui dall’altra parte dell’Europa, a testimoniare il mio affetto a qualcuno così lontano dalla mia esperienza, ma così vicino a me, alla fine, quando si spengono le voci, e si affronta il momento inevitabile, il segno di una resa invincibile

03 dicembre 2006

Saturday in Bologna


Da quando ho iniziato la mia gestione campestre dei fine settimana, con appuntamenti immancabili dal sabato alla domenica o dal venerdì alla domenica sulle rive del torrente Sillaro, ho perso un po' il contatto con Bologna. Lavoro a Modena, vado in palestra a Casalecchio, il fine settimana sono a Bellisola, e chi ne fa le spese è la mia città, quella Bologna "vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano ed il culo sui colli", che un po' si odia ma molto, sotto sotto, si continua ad amare. Ho voluto passare un sabato bolognese, per riappropiarmi della città, e vivere ancora una volta un sabato sotto le due torri, con i suoi riti, le sue immutabili iterazioni, ma anche le sorprese di un tessuto commerciale e di eventi che si propone a me nuovo, dopo tanta assenza.

Dopo una mattina in palestra alla Virgin di Casalecchio, facendo prima yoga e poi nuoto, ho preso l'autobus e sono andato in centro a pranzare con un amico, al Centro Natura. Anni fa, quando abitavo in centro, poco lontano da via degli Albari, ci venivo spesso, per fare ginnastica, mangiare, seguire un mitico corso di cucina in cui ho impararo il 100% del poco che so sull'argomento. Il Centro l'ho trovato cambiato, decisamente "infighito", ma sempre ben frequentato e con una pappa "naturale" buona e a buon prezzo (si mangia un tris molto ghiotto e un'acqua minerale per meno di nove euro, un miracolo da queste parti).
Poi, mi sono permesso qualche ora di shopping, girando per negozi in cui non sono mai entrato nella mia vita, e in altri che sono una costante e che mi accompagnano da sempre, mentre l'intera città e provincia sciamava in via Indipendenza e vicoli limitrofi, il sole calava prestissimo gelando la città, e io isolato dopo isolato facevo il censimento dei negozi scomparsi e di quelli nuovi, sentendomi sia a casa, sia uno straniero in terra straniera. Ho visto le insegne serrate della President, che dalla mia infanzia fino a qualche anno fa è stata la mia palestra. Ho visto - sempre in via Goito - che ha aperto una nuova libreria, Trame, e sono entrato a dare un'occhiata. Appena dentro, alla cassa, ho notato una ragazza che da almeno venticinque anni mi capita di incontrare casualmente, ma che non mi era stata mai presentata e che non avevo mai conosciuto. In alcuni periodi, la incontravo così di frequente (al cinema, alle manifestazioni, a teatro, alle conferenze) che pensavo quasi che in qualche mondo parallelo eravamo marito e moglie con tre-quattro pargoli al seguito. E dato che mi sentivo diverso, e vivo, e in un momento magico come mai prima d'ora, le ho parlato, e le ho spiegato quello che ho spiegato a voi. Adesso ho la sua mail, e chissà che non si organizzi una qualche presentazione di un nostro libro, nel suo negozio.
Poi, dopo uno sprazzo di shopping da GURU, così, giusto per sentirsi sempre ventenni, sono andato dalla Feltrinelli di Piazza Ravegnana, la libreria più importante della città (e mi perdonino tutte le altre), quella nelle cui sale si susseguono tali e tanti ricordi (di incontri, appuntamenti, libri comprati e sfogliati, occasioni colte e spesso mancate) che sembra di perdersi in un labirinto non solo architettonico, ma anche di memoria e memorie. La libreria ha appena rinnovato i locali, c'era tanta gente che alle casse ho aspettato 20 minuti, ma è sempre un'emozione rimanere a lungo là dentro, passare da un reparto all'altro, curiosare, vedere. Alla fine, ho comprato solo un libro sul burraco, un gioco che vorrei imparare, resistendo stoicamente alla tentazione di allungare la mia "to read list", ormai infinita, di volumi acquistati e in pila sul comodino.
Il pomeriggio l'ho finito al Baraccano, nella sede del quartiere Galvani, a seguire la conferenza di un antropologo canadese, Jeremy Narby, di presentazione del suo libro Il serpente cosmico, sulle civiltà indigene dell'amazzonia e la loro cultura sciamanica. Me l'aveva consigliata un'amica modenese, e sono andato sulla fiducia. Non ho grande interesse per l'antropologia, ma questo ragazzo (un canadese emigrato in Svizzera e specializzato nello studio delle civiltà indigene) mi ha lasciato a bocca aperta, con una narrazione in prima persona del suo cammino da scettico razionalista cresciuto nei migliori college elvetici all'accettazione del mistero delle civiltà indigene e dei loro riti che sfidano la cultura occidentale e permettono la prosecuzione delle culture attraverso sistemi di comunicazione non verbali, più tramite l'inconscio collettivo che tramite il linguaggio o la scrittura.
Dopo una cena alla Trattoria Belle Arti (non proprio indimenticabile, ma in ottima compagnia), ho chiuso la serata in una maniera assolutamente inedita.

Con un amico, mi sono presentato alle 23.00 al teatro RAUM per partecipare a una Hypnomachia: trattasi di un concerto di musica elettronica, in notturna, dalle 23.00 alle 6.00, cui bisogna andare con coperte, sacchi a pelo e cuscini. L'idea è infatti di DORMIRE al concerto, e di lasciarsi ora cullare, ora svegliare, dalla musica, che cerca, in un'altalena di sonorità, ora di assopire, ora di tormentare, gli spettatori, che devono trovare un loro equilibrio in quella che è -a tutti gli effetti - una situazione di coscienza alterata. Come è stato? E' stato bello le prime due ore, in cui ho dormito quasi sempre, avvolto da una musica sottile. Poi, all'una, e per oltre sessanta minuti, un assolo di chitarra elettrica su una sola nota, così forte che mi faceva tremare i dischi della colonna vertebrale, mi ha fatto cambiare idea, e alle due mi sono detto "sono troppo vecchio per questo", e me ne sono andato - sulla bicicletta recuperata nel frattempo - di nuovo verso casa. E mentre pedalavo in via Sant'Isaia nella notte gelida e deserta, gialla di lampioni, cercando di infilarmi i guanti per non intirizzire, scoprendo che non so più andare in bicicletta senza mani, mi sentivo comunque vivo, e pieno di energie, come una nave che va, anche nella notte, anche con le ombre che incombono, ma va.

01 dicembre 2006

L'autobus corto


Ho visto Short Bus, un film indipendente americano molto... stimolante, che parla delle vicende psico-sessuali di un gruppo di giovani newyorkesi che devono affrontare i loro problemi esistenziali e sessuali nella Grande Mela post 11 Settembre. La cosa che rende peculiare il film... è che le scene di sesso sono vere, totalmente esplicite, girate con uno spirito leggero, non greve, ma allo stesso tempo sono la cosa più hard mai vista al cinema in un film "normale".
Mi è piaciuto? Potete giurarci... In sala, il pubblico all'inizio era un po' shockato, ma alla fine è stato vinto dallo spirito coinvolgente del film, dalla bravura e dalla... spontaneità di attori e attrici, dei quali vediamo - sul serio - molto, molto di più di quello che si vede normalmente di performer hollywoodiani. Se avete 18 anni e la mente aperta, non perdetelo.