26 giugno 2019

Due pensieri due sul PRIDE

Capiamoci. Il Pride è una manifestazione politica. E la politica non passa solo dalla rivendicazione dei diritti (alla sicurezza, all’uguaglianza, ai farmaci per le persone trans, a non essere insultati picchiati e feriti, alle adozioni, alla fecondazione assistita, al matrimonio egualitario etc). La politica passa anche per la rivendicazione delle libertà sessuale, della libertà di vestirsi come si vuole e di limonare chi ci pare in pubblico come fa chiunque nei paesi civili. E il Pride è anche una festa, un dire “siamo liberi felici e non ci nascondiamo, contro chi ci vorrebbe a casa nostra o in galera o sottoterra). Con gente che marcia in pantaloni e maglietta ma anche con parrucche e lustrini e harness e seminudi nudi. Chi non capisce che il movimento LGBTQ deve mostrare questa fierezza, questa libertà, ha dentro un sacco di omofobia, di vergogna tossica (quella vergogna che ci inculca la società patriarcale moralistica e che opprime le persone LGBTQ dal loro primo vagito). Sarebbe proprio il caso di liberarsene. Posso consigliare bravi terapeuti all’occorrenza. 

25 maggio 2019

Buongiorno Vietnam









Per chi è nato nel 1965 e ha iniziato fin da bambino a sentire parlare di politica, attualità, senza mai perdere un telegiornale e leggendo avidamente ogni giorno il quotidiano portato a casa dalla mamma, il Vietnam è un paese dal sapore leggendario. Ho visto in diretta gli anni finali della guerra, ricordo l’armistizio e la partenza degli americani dal paese, ricordo Ho Chi Min, le foto, gli articoli, e poi quello che è venuto dopo, il flusso di coscienza di mille film in cui gli statunitensi hanno esorcizzato la colpa collettiva di aver ridotto a ferro e fuoco un paese lontano e umile, per motivi di geopolitica comprensibili solo a pochi. Quindi per me andare in Vietnam assume un significato un po’ diverso, è una terra cui sono (siamo) legati emotivamente in maniera diversa che ne so, della Tailandia o dell’Indonesia. 
Eppure, per quanto tu possa aver letto del Vietnam e averlo visto in film o documentari, il paese ti spiazza. Perché, per metterla giù piano, è di una bellezza sconvolgente. Una bellezza esterna, certo, ma anche interna. I vietnamiti sono di una gentilezza disarmante, ti accolgono col sorriso, in maniera disinteressata. Qualcuno ti offre da comprare qualcosa, ma con un livello di insistenza quasi omeopatico. Non pretendono (quasi mai) la mancia, e anche quando gliela dai se la sono sempre meritata, perché in quello che fanno ci mettono il cuore e una premura che non ti aspetti. Tipo, vai a uno spettacolo di danza e menzioni al bigliettaio che non era quello esattamente lo spettacolo che volevi vedere, e dopo dieci minuti viene la responsabile per capire se in una altra data o in un’altra location lo spettacolo che cercavi è disponibile. Oppure parti prima che apra il buffet della colazione e l’hotel ti prepara panini, croissants, succo di frutta e caffè al sacco. Oppure fai il bagno in mare (nella baia di Halong) e lo staff che sorveglia ti tiene la macchina fotografica e ti fotografa mentre nuoti, a tua insaputa.
E la lista potrebbe andare avanti a lungo, ogni persona ti parla col sorriso, fa di tutto per accontentarti, si esprime come può quando non sa l’inglese, e alla fine andando verso l’aeroporto ci viene da piangere a vedere i viali decorati di bandiere rosse per la festa nazionale dell’unificazione, ancora semivuoti all’alba, pensando a questo popolo gentile, 90 milioni di persone con 45 milioni di motorini, e allo loro allegria alla fine semplice, ai marciapiedi in cui si assiepano a mangiare fragrante cibo da strada, o a chiacchierare, ragazzi e ragazzi sempre tranquilli, anche in città, anche nel cuore della notte, che ti salutano sbracciandosi con i loro “helloooooo” a cui rispondi “xin chao”.
Quindi sì, il Vietnam merita moltissimo. In primis perché è bello. Trovi templi, spiagge, isole, fiumi, campagna, foreste, colline, città, caffè, negozi, luci, lanterne, pagode (o come dicono loro, bagodas) mescolate magari a distese vuote di campi, o a periferie urbane molto “sgarrupate” (ma senza la sensazione di desolazione o di povertà assoluta viste in America Latina o in Tailandia per esempio). L’insieme è un qualcosa che ti conquista, un’esperienza “overwhelming” dietro l’altra. La natura e l’uomo, l’uomo e la natura, tutto mescolato con secoli di storia, rovine imperiali, con la storia di una civiltà che si è resa indipendente dai cinesi, dai francesi, dagli americani, con la sola caparbietà e la forza delle unghie e dei denti.
In secundis, perché qua il turismo di massa non è ancora arrivato. In qualche punto lo si vede maggiormente, soprattutto cinese, ma nel complesso è un turismo “light”. Tremo all’idea di una trasformazione stile Bali o Phuket, e quando eravamo in spiaggia a Hoi An (tipo, dieci ombrelloni in tutto) mi è venuto da pensare alle spiagge della Riviera Maya (bellissime, ma con file e file di ombrelloni peggio di Rimini).
Terzo punto, perché costa poco. E voglio dire, veramente poco. Un tour in hotel 4 stelle uno più stiloso dell’altro, comprensivo di svariate escursioni, tutti i trasferimenti, visite guidate, tutti gli ingressi, una crociera, due voli interni, uno spettacolo di danza moderna (stratosferico), tutte le colazioni, parecchi pranzi e due cene, costato circa 150 euro al giorno a testa (volo intercontinentale escluso).  Sinceramente, i due giorni e una notte finali a Singapore (su cui ci sarebbe da fare un post a parte) ci sono costati quanto un terzo di Vietnam…
Quarto punto, perché i Vietnamiti sono meravigliosi. A parte qualche rara eccezione, li abbiamo sempre trovati gentili, disponibili, curiosi (tutti fan del calcio, anche italiano per esempio), con la voglia di aiutare e rendersi disponibili. Ovviamente, direte voi, in ambito turistico questo succede sempre. Allo stesso tempo vi assicuro che si sente la differenza tra chi fa semplicemente il suo lavoro, o ti vede come un bancomat a due gambe, e chi è invece genuino nel mostrare il suo paese, nel servirti un caffè, nel venderti un abito, nel darti una bottiglietta d’acqua ogni volta che entri in un posto o su un’auto. Non sono insistenti, anche quando entri in un negozio non ti assillano, o lo fanno con garbo. Puoi contrattare nei mercati, anzi, devi, ma “con gentilezza”. E non li vedi mendicare, praticamente mai. La volta isolata che ti capita di vedere una donna seduta per terra con un neonato in braccio e un cestino per l’elemosina, tiri fuori una banconota senza neppure pensarci.  Sono sempre al lavoro. Indaffarati come formiche.  O sui loro motorini che sfrecciano nel traffico (e non si fermano mai, capisci dopo un po’ che potrai attraversare la strada solo se ti butterai nel traffico senza esitare, lasciando a loro il compito di schivarti). O seduti sui loro piccoli sgabelli sui marciapiedi a mangiare cibo da strada. Alcuni li abbiamo visti farsi tagliare i capelli o radere da barbieri di strada, appoggiati a un muro o a una sedia.
E arriviamo al quinto punto, il cibo. La Lonely Planet dice che è il motivo numero uno per andare in Vietnam, e anche se lo trovo esagerato, devo dire che siamo a un livello di passione culinaria che ha poco da invidiare alle grandi scuole di cucina del mondo. La cucina vietnamita è semplice, assomiglia a quella cinese ma con sapori più delicati (spezie e condimenti spesso sono a latere, te li devi aggiungere tu). E’ sempre fresca, cucinata con quello che c’era al mercato. E anche il loro piatto nazionale, il pho, che si mangia  sempre, anche a colazione, anche con 40 gradi, nella sua versione originale è un piatto basico, un brodo leggero e caldo con dentro noodles di riso, tre o quattro fettine di manzo scottato, qualche verdura cotta e verdure ed erbe fresche che aggiungi tu a piacimento. Persino i loro involtini fritti, altro piatto basico, sono freschi, un foglio di carta di riso, ripiegato a contenere un misto di funghi, carote, cipollotti e carne di maiale macinata, chiuso con il bianco d’uovo e fritto per due minuti in olio di semi. Volendo, mangi per strada, in ristoranti mono-piatto, per due o tre euro, oppure se vai in un locale di grido arrivi a spendere 30-40 euro con cocktail e portate multiple. In ogni caso, mangi sempre bene. Hanno persino il culto del pane e della pasticceria, portato dall’occupazione francese, per non parlare poi della mania del caffé. Il Vietnam è il secondo produttore al mondo, e localmente ne consuma ovunque, in migliaia di locali, che presentano la bevanda in infinite variazioni. Il caffé vietnamita basico, caldo e con il latte condensato e lo zucchero, è una delizia, fortissimo anche in versione col ghiaccio. E ad Hanoi si beve quello con lo zabaione dentro, una delizia (che abbiamo provato in un locale che sembra un sottoscala, reso famoso dai documentari di Anthony Bourdain.

Volendo elencare brevemente cosa abbiamo visto e gli “highlight” del viaggio…

1) abbiamo fatto un percorso da nord a sud, da Hanoi a Saigon, da una parte del paese un po’ più arretrata, a quella del boom economico e della crescita che vedi ad occhio nudo. Pensiamo che sia una scelta più saggia rispetto al contrario.
2) Hanoi è bellissima, una capitale orientale ma con il fascino della dominazione francese e della sua storia, con laghi, musei, mercati, templi, e una cultura culinaria fuori scala. Per visitarla bene servono non meno di due giorni. Imperdibile, anche se spaventa molti, il pellegrinaggio alla salma di Ho Chi Min. File chilometriche (ma rapide, niente panico), con un caldo atroce (in Vietnam ad aprile fa abbastanza caldo, tipo 28 di minima e 39 di massima, molto umido, ma non piove. Se non avete mai provato i vestiti in microfibra per i climi torridi, è il momento di farlo). E poi il vecchio quartiere, i vari laghi, i musei. Assolutamente consigliato stare in un hotel nella parte vecchia, ce ne sono per tutte le tasche (e anche i 4 stelle hanno costi ridicoli).
2) le regioni al sud e al nord di Hanoi sono famose per spettacoli naturali, Non siamo stati a Sapa a vedere le risaie (ad aprile il raccolto è stato fatto) ma a sud a vedere Nin Bihn (santuari in cima a montagne cui si accede salendo centinaia di gradini, un fiume in mezzo alle colline che sembra un sogno). Abbiamo dormito in una eco-lodge con piscina in mezzo alle risaie che per me resta uno dei posti più belli mai visti (quelli che chiamo “gli hotel del cuore”).
3) la baia di Halong (quella con le centinaia di isole calcariche vista in mille film) va fatta in crociera, dormendo a bordo una notte, esplorandola in Kayak, tuffandosi nelle acque verdi con la barca ancorata in uno spettacolo da favola. Onestamente, una delle esperienze più spettacolari della mia vita. Siamo stati due giorni/una notte, ma merita la versione tre giorni / due notti. Avevamo peraltro una nave stupenda (della azalea cruise) con camere vista mare e vasca da bagno davanti alla vetrata. Diciamo che anche questa era un’esperienza.
4) Hué, la capitale imperiale. Semi distrutta degli americani, ora ricostruita, ospita le tombe di diversi imperatori (ne abbiamo vista solo una, da sindrome di Stendhal) e la maestosa e sterminata cittadella imperiale. Un posto incredibile per la parte artistica, ma anche molto vivo e con un fiume (il fiume dei profumi… come si può sbagliare con un nome del genere). Qua abbiamo visto Avengers Endgame (per sfuggire agli spoiler impazziti in rete) nel cuore della notte in un cinema di periferia in una sala pienissima (biglietto: 1.5 euro, tanto per dire), E siamo tornati in hotel a piedi camminando a bordo fiume, nella città addormentata, per due chilometri, quasi alle due di notte (ah dimenticavo di dire che il Vietnam è uno dei paesi più sicuri del sud est asiatico).
5 - il tragitto tra Hue e Hoi An. Lo abbiamo fatto in una giornata, in auto, fermandoci al passo… e a vedere la Lady Buddha gigante di DaNang e la montagne di marmo.  Volendo si può evitare a andare direttamente senza tappe da una città all’altra, ma molti consigliano invece di farlo in moto. Delle cose viste, resta nel cuore la Lady Buddha gigante, un po’  kitsch ma decisamente impressionante.
6- Hoi An. Una sorpresa. Questa è una delle capitali turistiche, cui affluiscono folle di persone da tutto il mondo. Finché non ci arrivi, non capisci il perché. Hoi An è una città incantata, costruita da mercanti cinesi e giapponesi, un dedalo di viuzze con case gialle pittoresche, fiumi e canali, e una quantità di negozi e locali tipici (e di templi e monumenti) davvero incredibile e suggestiva. C’è gente, Tantissima. In alcuni momenti quasi non cammini. Ma l’insieme è così bello che resti senza parole. Il tutto è decorato con lampade colorate di carta. Migliaia e migliaia. Che di notte si accendono, anche sul fiume, rendendo magica la città. Ci siamo stati due notti, meritava tre o quattro (ci sono anche escursioni carine nella zona). Abbiamo dormito in un hotel pazzesco sul mare, qua le spiagge sono sabbiose, con poca gente, acqua calma e bassa, nuotando vedi al largo un gruppo di isolotti, a nord nella bruma lo skyline di Danang. Un piccolo paradiso. Ah, è anche il paradiso dello shopping, caratteristico e sartoriale (ti fanno abiti su misura in 24 ore a meno di 200 dollari), Non abbiamo trovato nulla di meglio come qualità e prezzi in Vietnam 
7- Saigon-Ho Chi Min City. Arrivi ed è uno shock. E’ una capitale economica in crescita, con grattacieli che sembrano la torre degli Avengers, hotel, ristoranti, viali. La gente che si assiepa giorno e notte nei giardini, il fiume pieno di navi. Bastano un paio di giorni, e vale assolutamente la pena. Se vi manca lo shppping di tipo occidentale, qua potete tirare fuori la carta di credito (nel resto del paese invece impera il contante è trovate chioschi bancomat con aria condizionata a ogni angolo.… anche se col bizzarro massimale di 2.000.000 di dong, meno di 80 euro).
Da qua abbiamo fatto l’escursione sul Mekong, altro assoluto high light del viaggio. Con gita sul fiume, percorsi in bicicletta, e pranzo a bordo fiume in una eco-lodge pazzeska.

Ci sono moltissime altre cose da vedere, noi siamo riusciti a vedere questo in dieci giorni e dieci notti… e vi assicuro che andando in aeroporto la mattina della partenza con la città piena di bandiere rosse per la festa della loro liberazione (il 30 aprile) avevamo le lacrime agli occhi per la commozione. Il Vietnam e un paese che resta nel cuore. Andateci prima che gli anni lo trasformino.

PS in tutto questo, mai vista una zanzara e mai avuto problemi intestinali, se siete il tipo di viaggiatori che si preoccupa di queste cose.


24 ottobre 2016

Il mio Sì

Sono parecchi settimane che medito questo post. Mi sono espresso sui social a favore del SÌ in vario modo, mai particolarmente articolato, e mi sono beccato una razione di odio, attacchi, svalutazioni e disprezzo come mai prima d'ora. E sarebbe da studiare come mai un referendum così tecnico sia riuscito a polarizzare tanto il discorso politico in Italia, affidando al SÌ e al NO significati simbolici, metaforici, emotivi, istintuali, che nulla hanno a che vedere con una valutazione de facto sul merito della riforma. Nulla.

Voglio quindi provare a dire la mia in maniera articolata, ma semplice.

Perché voto Sì? Il motivo principale è che trovo assurdo che in Italia ci siano DUE CAMERE a dare la fiducia al governo. Se le due camere fossero con identica composizione, sarebbe già una duplicazione inutile. Ma dato che di solito hanno maggioranze più o meno diverse, si tratta di una duplicazione ostativa, che favorisce il compromesso, il trasformismo, le alleanze forzate. Il meccanismo non è casuale. Da sempre in Italia abbiamo paura che un solo partito abbia la maggioranza da solo, o, se volete, che abbia la responsabilità senza alibi di governare. Meglio quindi con un meccanismo bizantino fare in modo che chiunque vince in una camera possa non vincere nell'altra, o vincere solo con alleanze. Si preferisce una situazione dove nessuno può governare da solo, e ci si rassegna a instabilità e alleanze improbabili. Posso dire: grazie, ma no grazie?

Il secondo punto per me fondamentale è che il processo attuale di approvazione delle leggi tramite due camere fotocopia rimane assolutamente inutile e improduttivo. Si pensava nella costituente che un senato più maturo potesse servire da contraltare a una camera più giovane e inesperta (leggi: un senato più conservatore potesse tenere a bada una camera più liberale), ma sono considerazioni sensate forse nell'infanzia di una democrazia, non in una repubblica adulta (e credetemi dopo aver sentito certi senatori discutere di Unioni Civili mettendo in discussione che i gay fossero esseri umani, non ho proprio nessuna fiducia in questa visione di un senato "maturo"). 

Oggi come oggi sono solo due organi fotocopia che svolgono inultimente lo stesso lavoro. 
E non mi venite a dire che se si vuole si approva rapidamente una legge anche con due camere.… spesso le leggi veloci sono decreti legge, mentre le leggi ordinarie tra passaggi e rimandi fanno la spola tra camera e senato con un ping pong che solo degli irresponsabili possono apprezzare.

Questi sono i due motivi principali e i due dirimenti. Apprezzo la normativa sui referendum, l'innalzamento del quorum per il PdR, la riduzione del ricorso ai decreti legge, l'obbligo per il parlamento di discutere le leggi di iniziativa popolare. 
Ma sono punti accessori. Belli e utili ma tipo i contorni di verdura a fianco di due piatti di carne.
La ciccia è la fine del bicameralismo perfetto. Una cosa di cui si parla da decenni  e che ora al momento della sua realizzazione scatena tanta nostalgia. Ma sì, teniamoci due camere, quasi 1000 parlamentari, e che importa se fanno lo stesso lavoro.

Un punto sul nuovo Senato. Si è voluto farlo tipo la seconda camera tedesca, una camera regionale eletta a secondo livello, dai consigli regionali. Questo aspetto è uno dei più criticati, anche se in maniera di solito mistificatoria. Si dice che la descrizione del ruolo del nuovo senato è troppo lunga (ma ovviamente serviva una descrizione dettagliata ora che svolge un secondo compito), che i senatori non avranno tempo per fare anche in consiglieri (si reputa invece che dovranno stare a Roma solo alcuni giorni al mese), che i senatori avranno immunità (e come potrebbero non averla? Sono parlamentari comunque, anche se senza stipendio, e l'immunità parlamentare è un concetto base di una repubblica parlamentare, dato che la carcerazione di un parlamentare cambia la composizione del parlamento, e non può avvenire senza gravissimi motivi).
La critica più fondata, e la sola che anche io riconosco come debolezza dell'impianto, è la vaghezza nella definizione su come saranno eletti i nuovi senatori. Ma è vero che si dice nella riforma che i senatori saranno scelti in accordo con il voto popolare, e Renzi ha detto da poco che la proposta sarà di fare scegliere i Senatori dai consigli regionali su indicazione diretta degli elettori tramite una seconda scheda nelle elezioni regionali. Quindi anche questo punto per me è chiaro.

Tornando al discorso generale. Voterò sì sostanzialmente per questi due motivi
Perché voglio una democrazia matura
Perché voglio governabilità (anche se vincesse Berlusconi o Salvini o Grillo.… non si ama la stabilità solo se al potere c'è stabilmente qualcuno che ci piace).
Perché non voglio più inciuci e alleanze assurde, o un Senato che dipende dal trasformismo di Mastella.
Perché voglio che le leggi siano approvate in maniera lineare e approfondita e non dopo Ping Pong infiniti e compromessi di solito al ribasso (sì, lo so che il Senato può chiedere modifiche a una legge, ma è un potere consultivo, non decisionale).
Perché mi piace l'idea che l'Italia sia riformabile e che non resti ancorata a meccanismi he avevano senso nel 1946 ma non nel 2016
Perché so che se passerà il NO NESSUN GOVERNO METTERÀ PIÙ MANO ALLA COSTITUZIONE, per decenni, facendoci restare in balia di doppie maggioranze e processi legislativi fotocopia

E so che questa è solo una delle possibili riforme. Erano possibili 100 o 1000 formulazioni diverse, più o meno semplici, più o meno complesse. Questa si è scelta considerando veti e controveti, mosse e contromosse. Dire no perché "si poteva fare meglio" o "ci voleva un'altra riforma" è infantile. Un "benaltrismo pilatesco". 
Questa è la riforma. Volete che la fiducia la dia una camera o due? Volete stabilità o instabilità? Volete che le leggi le faccia una camera o due? Non ci sono altre cose in gioco. Non i poteri del premier. Non la legge elettorale. Non la forma dello stato. Solo una semplificazione e un rendere più governabile il paese.

Se votate NO, volete che tutto resti uguale. Se votate SI' volete cambiare, semplificando. Punto. Ognuno si prenda le sue responsabilità.

17 gennaio 2014

Una luce così nordica

È sempre difficile trovare la mia voce … per il blog .... alterno pensieri lirici e pieni di spleen ad altri più freddi e distaccati e cinici. 

A volte penso che non dovrei fare altro che descrivere le cose che mi succedono dando loro semplicemente uno spazio maggiore rispetto ai 140 caratteri di Twitter.  

Parlare di come mi sono sentito salendo sul palco da solo al Ratcon, ricevendo l'applauso di 800 persone, e come mi sono riempito di adrenalina a tal punto che la mattina dopo ero sveglio alle 6.00, con tutta quella vita e quell'energia che mi scorrevano in corpo che non sapevo neppure dove metterle,
Posso parlare di una domenica mattina alle terme di Salsomaggiore, in quello spazio così liberty e decadente mescolato con un tentativo di modernità termale, quello spazio in cui vive qualche pezzo più antico di me, che continuo a rispettare e volermi tenere dentro, perché come dice il Dottore alias Matt Smith " Siamo tutti persone diverse nel corso della nostra vita e va bene, devi continuare a muoverti, a patto di ricordare tutte le persone che sei stato."

E poi c'è oggi, questo viaggio di un giorno a Parigi per lavoro. La sveglia alle cinque e quarantacinque, preceduta come sempre da un sonno che si spezza di continuo per l'ansia della partenza. Il decollo di notte, la bruma che diventa aria limpida che diventa nuvole che diventa cielo tra il sorgere del sole e il giorno, e la distesa senza fine delle nuvole sull'Europa, e io che la guardo come sempre cercando di respirare e rilassarmi e sentire (come sempre, come sempre) come ogni viaggio in aereo ti trasporti da un punto A a un punto B ma in quella sospensione dalla terra che è il volo ti trasformi anche dal sé che eri al decollo a quello che sarai all'atterraggio, una primitiva forma di teletrasporto dove quel che viene disintegrato e ricostruito non sono le tue molecole ma la tua anima,

Poi, a Parigi. Muoversi in taxi e in metro. Bere uno strano caffè, mangiare un croque-monsieur, e fare incontri di lavoro in francese, questa lingua che conosco in maniera limitata, ma all'occorrenza mi sciolgo e mi butto e mi invento quel che non so, e faccio giri di parole attorno alle espressioni che non ricordo, ma alla fine quello che devo dire si capisce. Fuori, guardo il fiume e i palazzi di questa prima periferia dove ci sono più acciaio e vetro che non pietra e mattoni,  mi immagino se mai un giorno abiterò qui e so che non sarà così, ma per un attimo in un tardo pomeriggio dalla luce quasi nordica, mi dico di sì. 
Aspetto l'ora del volo di ritorno camminando attorno a Rue S.te Croix De La Bretonnnerie. Me lo ricordo, questo budello del Marais, dal 1989, quando era tutto un locale, un bar fetente, un ristorante marocchino, un Sex-Shop. Ora di anno in anno si imborghesisce di più, al posto del Sex Shop hanno aperto un negozio di macarons. Resta l'albergo a tre stelle dove sono sceso non meno di tre volte, in quei primi anni '90, e in cui ora non mi fiderei più a mettere piede, per la mia unica vera forma di snobismo tardivo, ossia l'amore per gli alberghi di design dalle 4 stelle in su. Ma ci passo davanti e ricordo quell'altro tempo e quell'altro Marco meno complicato, e dal 2014 gli sorrido.

Infine, di nuovo in volo. Stavolta l'Europa è senza nuvole. Una luna piena perfetta (?) si riflette sui corpi d'acqua sottostanti e man mano che ci muoviamo la sua luce a terra si sposta, un flash dopo l'altro, surreali esplosioni che possiamo vedere solo noi, da quassù.

31 maggio 2013

Quel che si intravede, o intuisce (direi, l'amore)


Prendi la cornice digitale dimenticata, ritrovata nel trasloco. In qualche modo riesci ad accenderla, a ricostruire come funziona. E si accende, le immagini scorrono lente, implacabile. Sei tu, dieci chili fa, occhiali da miope fa, amori fa, in altre immagini e viaggi e latitudini. E sei tu e non sei tu e questi cinque anni sono cinquecento o cinquemila.

E questa notte non è fatta per leggere o per guardare la tv. E' fatta per scrivere, per seguire immagini nuove che carichi sulla cornice e che sono di queste settimane. Settimane in cui hai cambiato casa, hai messo tutto quello che avevi in cento scatoloni, mani pesantemente delicate li hanno sollevati, li hanno portati giù dal quinto piano e poi su fino al sesto. Scatoloni e camion e scale e carrelli elevatori e tre giorni più scorrevoli del previsto in cui ti sei spostato dal Baxter Building e sei approdato alla Watchtower. 400 metri più ad est, una fermata d'autobus più verso il centro, stesso quartiere, stesso CAP, stessa parrocchia, stesso circolo del PD. Eppure, come mille miglia di distanza, come un viaggio in un altro pianeta. Eri in affitto prima, in quella piccola casa con quel grande terrazzo e cinquanta piante e il fantasma di un gatto e altri fantasmi che abitavano con te. Li avevi anche interrogati, una volta, con l'aiuto di un amico sensitivo (sensitivo sul serio, come nei fumetti), e ce n'era uno che proteggeva la casa o forse la infestava, con un nome impossibile, e nella descrizione sembrava il fantasma di un aborigeno, di un'anima antica, un tuo Gateway personale. E in quella casa ci avevi abitato sedici anni ed eppure non era tua, c'erano parti in cui non avevi mai messo piede, cassetti mai aperti, nodi chiusi cinque, dieci, quindici anni fa e mai sciolti, una carta da parati improvvisata per coprire la colonna in vetro verde smeraldo del salotto, creata con carta da preghiera cinese, a sei mani, una delle prime mattine di quel maggio 1997, e mai cambiata. C'era tanto amore in quella casa, ma negli anni si era unito al dolore, alle lacrime, all'inerzia della vita che non scorre, e alla fine c'era tutto, c'era troppo, un giardino sotto il cielo da cui la città si intravedeva appena, una casa che non era tua in troppi sensi.

E invece, qua, nel palazzo più a est, sei a casa. nella casa che hai trovato e comprato tra mille paure e incertezze e sacrifici, ma quella in cui sei entrato in una mattina di febbraio del 2012, quando era ancora di una vecchia signora che ci abitava da 43 anni, e ti sei detto "ecco, vorrei vivere qui, in questa specie di torre sospesa nel cielo, con le finestre da soffitto a parete che danno l'impressione di essere su una nuvola". 
Una casa che non ha nulla a che vedere con la precedente, e che è diventata tua undici mesi fa e che da allora è stata ripensata, praticamente distrutta e ricostruita, con tutta una serie di cose che volevi, un pavimento grezzo di quercia e cenere, le pareti bianche e grigie, ma un muro carta da zucchero in camera da letto, due piccoli terrazzini dove hai portato il limone, l'ulivo, il lauro, l'edera, un'acacia, le piante grasse, la parete a lavagna in cucina, la stanza dei fumetti.
Una casa che nasce così, per ora senza fantasmi, con l'odore di nuovo, la vista a sud, sulle colline da San Michele a San Luca, la città intravista a est, l'Appennino modenese che si intravede a ovest ma solo nelle mattine più terse. Una casa in cui sei a volte solo, altre in due, dove l'amore scorre assieme alla vita, dove ora sei uno ma presto sarai in due, una nuova famiglia che tra queste pareti camminerà, riderà, ascolterà musica e aspetterà l'alba, in un qualche mattino d'estate, guardando a est.

28 aprile 2013

Interview

Giusto perché non rimanga una fila di bit nel mio iPhone ecco il file completo spedito a Repubblica a tema Twitter, in occasione del Domenicale del 28 aprile 2013.

Enjoy!

-------
Nome, età, città, titolo di studio, professione, stato civile

Marco M. Lupoi - anni 48 - Bologna - un dottorato di ricerca in matematica lasciato a mezzo oltre vent'anni fa per dedicarmi al fumetto. Lavoro come direttore publishing del gruppo Panini, e seguo un programma di albi a fumetti di qualche migliaio di titoli annui, in almeno 10 paesi.
Il mio stato civile? Innamorato.

Da quanto Twitti?
Ho iniziato nel 2007, sono stato uno degli "early adopters", quando su Twitter non c'era nessuno o quasi in Italia e dovevi scrivere in inglese e in terza persona per farti ascoltare da qualcuno.

Quante tempo ci dedichi al giorno?
Difficile quantificare, dato che sono un lettore veloce e ho un metodo di scrittura impulsivo, di pancia. Qualche minuto nelle giornate lavorative, di più la sera o nei week end o negli eventi.


Perché pensi di aver tanto seguito?

Onestamente è un mistero anche per me. Mi seguono i miei lettori, raccolti in questi cinque lustri di fumetti, ma anche tanta gente capitata per caso. E poi Twitter ha un suo algoritmo per cui se hai tanti follower il sistema ti alimenta il numero, proponendoti come "persona da seguire". A un certo punto mi seguiva pure Obama (dio solo sa perché) e l'algoritmo si è ulteriormente rinvigorito.



C'è un twit di cui sei particolarmente "fiero"?

Quando uno ne scrive migliaia è difficile restare legati a uno in particolare. Peraltro io twitto su quattro filoni: il fumetto, i miei interessi (film e telefilm), la politica, e la mia vita privata (emozioni stati d'animo momenti).
Forse sono legato al tweet in cui ho dato il mio endorsement a Matteo Renzi, o tra quelli personali quelli in cui cerco di descrivere sottili malinconie, attimi, il passaggio del tempo, la qualità della luce. O anche gioie assolute o l'abisso della tristezza, Ma anche i tweet in cui parlo di mia madre (#mammapanzer) e delle sue idee politiche, o quelli in cui bacchetto twitteri che "tubano" in diretta con l'hashtag #getaroom

Ha cambiato in qualche modo la tua vita?
Sicuramente rispetto a un blog Twitter permette una condivisione immediata, istintiva, molto in sintonia con come sono. Quindi è stato per me diario, valvola di sfogo. Ma anche metodo di socializzazione: molte grandi amicizie sono nate da Twitter, amicizie in carne e ossa. Twitter è anche un po' chat, e questo è un aspetto importante, anche se vanno evitati eccessi in questo senso.

Che soddisfazione ti dà?
Quando catturi l'esperienza o l'idea che vuoi ricordare, e la immetti in un tweet, e sono 140 caratteri che rollano sulla lingua come un vino perfetto, allora sì, hai una certa soddisfazione, anche creativa: racchiudere in 140 caratteri un pensiero, un'idea, un'immagine, una recensione, è sempre arte di scrittura.

Quali sono le tue "regole"?

In coppia si può twittare solo a colazione. Mai insultare, usare turpiloquio (salvo disastri eccezionali). Mai fare spoiler di film o fumetti. Evitare abbreviazioni o scorciatoie. Rispettare ortografia (nei limiti del corretttore automatico dell'iphone. Riservare i tweet molto personali a orari iper notturni. Riservare i tweet importnati alle ore di massima audience (Twitter è come la Tv, ha i "ratings") Non esagerare nei retwitt.
Ma soprattutto essere se stessi. L'unica cosa ormai rimasta al mondo che valga la pena fare.

Twitter dà dipendenza?
Dopo un po' inizi a riconoscere quando un'idea un evento un pensiero sono "twittablli" (un po' come quando facendo un blog capisci cosa è bloggabile o meno).
Quindi ognuno di noi twitteri a qualche modo ha una dipendenza dal mezzo, più o meno sottile, più o meno nevrotica.

Hai fatto incontri o conoscenze di qualsiasi tipo grazie a Twitter?
Moltissimi amici e amiche. Anche qualche contatto professionale o para-professionale. Direi che su Twitter si incontrano amici e persone vere, Facebook è più strumento per … altre conoscenze.

Hai messo a frutto in qualche modo questo tuo "successo"?
Solo per farmi ammettere al quartier generale di Twitter a San Francisco come uno dei VIT italiani (Very Important Twitterer) e rimediare una visita guidata e la mia T-shirt favorita

Pensi che potrebbe accadere, magari come autore testi, giornalista, politico ecc...?
Diciamo che sono uno di quelli che uno spazio ufficiale per scrivere ce l'ha, tra le varie dozzine di collane di fumetti che dirigo, quindi Twitter mi serve a comunicare divertire ed espandere un mio mondo anche personale.

Quanto durerà il fenomeno Twitter?
Difficile a dirsi. Twitter rispetto a Facebook è stato un diesel. Ma proprio per come funziona si presta a informare e creare opinione in maniera più diretta. Quindi direi (e spero) a lungo.

Cosa ti irrita maggiormente di quanto viene detto a proposito di Twitter e di quanto accade su Twitter?
Che spesso chi ne parla non ha idea. Non ha mai visto un evento seguendo i tweet su scala mondiale e non ha mai provato a raccontare come ci si sente svegliandosi all'alba del primo giorno del resto della propria vita. Ecco. L'ignoranza. #soncose


06 dicembre 2012

Due o tre cose di politica

A volte aspetti un poco e poi ti torna. La voglia di scrivere qualcosa in un blog. Forse perché i 140 caratteri sono un po' pochi, per farsi capire. E quindi, pagina bianca, righe illimitate.

Parliamo un po' di Matteo Renzi. L'ho votato. L'ho sostenuto nei social media. Gi ho dato il mio endorsement (per usare questa parole). E lo rifarei ancora.

Di rado ho visto su un sola persona scatenarsi un putiferio di attacchi come quelli che ha sostenuto lui. "È di destra. È democristiano. È andato a trovare Berlusconi ad Arcore. È arrogante. Vuole sfasciare il PD".

Senza considerare che Matteo è del PD, non l'ha sfasciato (anzi), ha idee di sinistra (sicuramente più liberal rispetto a Bersani, ma NORMALI in un partito europeo di sinistra del XXI secolo) e che la sua discesa in campo ha rafforzato il partito, attirandogli le simpatie anche di gente NON di sinistra (e se vogliamo vincere, di chi vogliamo prendere i voti, dei marziani?).
Senza considerare che la sua piattaforma sui diritti civili, LGBt e non, anche se non ottimale, era quanto di più avanzato visto nel PD da sempre. Contro le posizioni di Bersani, che si segnalò nel 2010 per una posizione contro i matrimoni gay vergognosa, e per non aver mai neppure dato uno spazio effettivo alle istanze del movimento LGBT dentro il partito.
Senza considerare che se non fosse stato per l'invito alla rottamazione non ci saremmo liberati di D'Alema (e speriamo presto, anche della Bindi e di Fioroni e del resto dei beceri catto-oltranzisti di cui è ricco il partito).

Io in Matteo ho visto un cambio di paradigma, ho condiviso i punti del suo programma e della modalità corale con cui l'ha messo in piedi, ho visto il coraggio di una sfida senza precedenti, di uno che ha 10 anni meno di me e che dice "fatevi da parte, avete fallito, tocca a noi guidare il paese". Che è discorso logico, condivisibile, che in ogni paese del mondo avrebbe attecchito, mentre noi si è avuto paura, si è creduto alle favole dell'uomo nero toscanaccio venuto a prenderci tutti per i fondelli, si è preferito un burocrate sessantenne in politica da vent'anni ne flirta con l'UDC e dà spazio alla Bindi. Il vecchio che avanza, insomma.

Quando si sono saputi i risultati del ballottaggio ho twittato alcune cose. La mia preferita resta

Ora in TV @matteorenzi è immenso. Una grande prova di umiltà e di serietà. Sarebbe stato un grande premier. Per un paese migliore di questo.

Ecco, dato per scontato che questo penso di Renzi e continuo a pensare, due-idee-due sulle cose a venire

1) la vera posta in gioco diventa ora la legge elettorale. Se devo scommettere, scommetto che voteremo col Porcellum, che il il centro sinistra farà le primarie per scegliere i candidati (e forse da qui Renzi e i renziani verranno recuperati)
2) non so dire se il PdL farà le primarie o meno. O se SB tornerà in campo. È una situazione alla gatto di Shroedinger
3) media e comunicazione faranno di tutto per ridicolizzare il M5S e ridimensionarlo, esattamente come lo hanno gonfiato finora. Cosa non difficile dato il livello medio di preparazione umana culturale e politica degli esponenti dello stesso.

Ecco qua mi fermo, dato che non sono un politologo, ma solo uno che passava di qui, con due o tre idee in testa, e la voglia di condividerle.