02 novembre 2010

Il giorno dei morti, l'oltraggio


Pier Paolo Pasolini - in memoriam
Inserito originariamente da duineser

Mi scrive Matteo, un mio amico, verso le 19.00 stasera. Matteo è di Castelmaggiore, è un economista, gli piace camminare, mangiare il gelato, lavora all'ufficio ricerche di Unioncamere, ed è gay. E oggi mi scrive “I miei genitori sono scandalizzati dalla nuova minchiata di Silvio. Mio padre lo vuole menare. E' necessario fare qualcosa. Porta il paese alla rovina totale.”.

Ci penso su un attimo, e poi penso che è un meraviglioso incipit, una chiosa a una giornata come questa. Un giorno in cui l'Italia è andata sott'acqua, la spazzatura ha continuato a seppellire Napoli, problemi come disoccupazione e de-industrializzazione hanno continuato a seminare il loro cancro, ma il paese si è dovuto occupare monocraticamente del nostro premier e delle sue intemperanze senili, e di una odiosa battuta omofoba. Che ha insultato i milioni di italiani che sono gay o sono padri e madri e fratelli e sorelle e amici di gay e di lesbiche, e che non possono accettare di essere paragonati a B, messi su un piatto della bilancia che ha dall'altra parte le attenzioni lubriche del premier per prostitute minorenni.

Perché il problema, caro Silvio Berlusconi, il problema non è il "guardare le belle ragazze". Facessi solo quello, saresti solo un attempato guardone, un pedofilo che ha bisogno di “carne fresca” per accendersi. No, Il problema è che le ragazze o meglio le ragazzine, tu le compri, le sfrutti, le trasformi in carne da macello, ne decidi il destino, come vuoi, con il potere usato a scopo personale, per fini oscuri che possiamo solo immaginare. Ecco. Meglio gay. Meglio 100 volte essere gay. E' più onesto più degno più umano. Grazie di avercelo ricordato, Silvio

Quello che hai detto, quello che si è saputo di te in queste settimane, ha acceso la rabbia di tanta gente. Più del processo Mills. Più del Lodo Alfano. Più delle ville di Antigua e del debito internazionale di Antigua miracolosamente cancellato. Perché quello che è successo, nel bene o nel male, ci tocca tutti nella carne, nel cuore, più da vicino. Ti sei rivelato scopertamente bugiardo, disposto a sovvertire istituzioni e legge pur di aiutare una minorenne con cui avevi avuto chissà quali trascorsi, delle cui parole, chissà, avevi paura. E hai scandalizzato e ferito molti, moltissimi italiani. Che delle legge hanno rispetto. Che non andrebbero mai con una prostituta, men che meno minorenne. E che devono occuparsi di un mutuo, di debiti, di disoccupazione di problemi reali, e non del tuo bunga bunga, dei tuoi festini a base di sesso e chissà cosa altro. Che magari ti hanno votato, ma stavolta si sono stancati, si sono sentiti feriti, abbandonati.

Quindi in un qualche modo la frase sui gay oggi è stata riparatoria. Volevi dire, come ha sottolineato anche Guzzanti stasera, “meglio puttaniere che frocio”. Un messaggio inviato alla pancia di un elettorato rozzo, ignorante, basico, invidioso del tuo patrimonio, del tuo potere, delle belle donne (prezzolate, ma tant'è) che ti ronzano attorno. Il tuo elettorato di base, quello su cui puoi sempre contare.

Ma a volte si fa il passo più lungo della gamba. Offendendo i gay hai offeso anche i loro padri, le loro madri, i loro amici, tutti coloro che sanno distinguere chi comunque vive a testa alta le proprie scelte e sa pagare il prezzo per la propria felicità, e chi si nasconde nelle ville a fare mercimonio del corpo altrui e del destino altrui. Ed è ancora un concetto basico, il bene contro il male, la viltà contro l'orgoglio, la dignità contro la mancanza di rispetto. Tu contro di noi. Ecco Silvio.
E chi vince, stavolta?


PS Oggi è l'anniversario della morte di Pasolini. Sarebbe bello averlo qui, sentire cosa avrebbe da dire oggi. Ma forse, chissà, magicamente, se ci fosse sempre stato in questi anni, forse non saremmo sprofondati così in basso, in questi abissi della civiltà e dell'inconsapevolezza in cui oggi viviamo, o meglio, diciamo di essere vivi.



08 settembre 2010

Sunset at the end of earth


Sunset at the end of earth
Inserito originariamente da Marco40134
Tante settimane senza blog. Come fosse diventato superfluo. Come se i fiumi, le montagne, i ponti, le strade, come se tutto quello che ho attraversato fosse qualcosa da dividere solo con pochi, con gli amici di FB, con i 116.000 contatti di Twitter (che sono tutti cinesi, quindi...) e con i pochi che mi seguono su Flickr. Un flusso umano di emozioni, di racconto, poco adatto al Sole24Ore, forse, o che non mi sento di condividere qui.
Ma ho scritto tante cose, questa estate.
Ho scritto di cieli impossibilmente azzurri e 5.500 chilometri Bologna- Svizzera – Finisterre e ritorno, della montagna perfetta, del dio del ghiacciaio, di quel che si perde e di quel che si guadagna. Ho scritto di danze sotto la pioggia, nel sole, in auto, di musica, e canzoni, e lacrime, e risate. Ho scritto del tramonto più a occidente d'Europa, e di quello che ti regala, in quel supremo istante di lucidità prima del crepuscolo.
E di come al ruotare dei mesi, al compimento di un giro della terra completo sul sole, anche la vita inizia a scivolare nuovamente, a trovare un suo solco, un suo respiro. E che si possono guardare le stelle in una notte incredibilmente limpida, senza albedo, tra le montagne, e dire sì, cavolo, sì.
Sì.

Poi.
Quindi.
C'è sempre il mondo. Il mondo che va avanti.
La politica, in Italia. L'ignobile cagnara su Fini, che lo rende simpatico a chi ha votato PCI finché c'è stato e continua a votare PD (ma pensa di smettere, salvo imprevisti).
E poi lo strappo di Fini, con un discorso da candidato premier, di prima.
E il PD anchilosato, moribondo, morto, confessionale, senza voce, senza idee, che distribuisce chicche come il sindaco di Ravenna che proibisce il naturismo a Lido di Dante (principale motivo di interesse turistico del luogo, della serie, shoot yourself in the foot). O come la regione Emilia Romagna che candida Silvia Noé (contraria ad aborto, pillola Ru486, matrimoni gay, testamento biologico) alla carica di presidente della commissione pari opportunità. O come il partito di Bologna che pare stia per candidare a sindaco un ennesimo personaggio d'apparato senza smalto. Insomma, ci siamo capiti. Il PdL affonda e il PD invece di buttarsi all'attacco si barcamena in ipotetiche alleanza con l'UdC. Senza capire che la creazione di una destra liberale e non berlusconiana riallinea e sconvolge tutto, e scardina alla base anche molte ragioni di essere dei democratici stessi.
Insomma. Ci siamo capiti.

E fuori dal piccolo mondo italico c'è il mondo largo, il mondo degli altri paesi. Di chi lotta e chi no. Delle vittime e dei carnefici. Delle donne da lapidare e degli omosessuali da impiccare. Delle maree nere e di chi ci guadagna milioni (o miliardi). Un mondo complesso, connesso, leggibile e indecifrabile, che mai potremo vedere tutto, che ci sarà sempre, là fuori, con i suoi cammini e i suoi sentieri, le sue città e le sue campagne, tutte uguali, tutte diverse, popolate da gente che parla tutte le lingue, pensa tutti i pensieri, e sogna sempre, ogni sogno, anche i più arditi, anche quelli impossibili.

Un mondo, tanti mondi. Anche stanotte. Anche qui.

03 agosto 2010

North by Northwest, giorno 0


Green portrait, day 0
Inserito originariamente da Marco40134
Un domenica d'estate. Settimane dopo la morte di Emma.
Dopo che sono stato in Spagna a seppellire i miei fantasmi e a ballare sotto il sole e sotto la luna e a cercare le mie verità. Dopo tanto lavoro, tante parole, dopo un viaggio in USA ancora una volta di lavoro e ricerca.

Ecco.

Inizia agosto.

Mentre cuciniamo, io, i miei vicini, e il mio amico fotografo impareggiabile Totò Pagano, ci scappa uno scatto casuale.
Sono io. Intento ad addentare un'oliva, in cucina. E l'obiettivo del mio amico fotografo mi cattura fuori da ogni posa. Assorto a mangiare qualcosa di verde, con una polo verde addosso e un fazzoletto verde in mano. In una luce notturna calda e acida.
All'antivigilia della partenza di un nuovo viaggio, in una notte clemente, in cui l'amicizia si stempera nel vino nella birra nelle parole, nella complicità e nell'indignazione. Si concretizza nell'essere quattro esseri umani di tre diversi retaggi uniti dalla notte, da Bologna, dal cibo, dal fresco del quinto piano di via Rappini. Sembra di essere da un'altra parte, in un altro spazio, in una città immaginaria, in un sogno sognato da altri sognatori. Ma in una casa finalmente priva di fantasmi, in cui solo il soffio di Emma continua a sfiorare le piante, il limone, il basilico, le more, ma in cui la vita tace, si raddrizza, si acquieta. E quindi è bello pensare che dopodomani si parte, che si percorre l'Europa verso nord e poi nordovest, verso la fine della terra, se ci si riesce, cambiando cinque lingue, quattro nazioni, lo stesso cielo, lo stesso mondo. Viaggiando. Sì, viaggiando.


01 agosto 2010

Sul Sassonero, un'altra estate

Pink sunsetSali quassù, tra il Sassonero di un tempo - che è poi uno sperone di roccia e qualche sasso basaltico -e la Villa Sassonero di oggi, che non ha neppure un negozio ma solo una chiesa e un'osteria. Sali quassù, che nessun luogo contiene tanto passato, tanta vita, tanta bellezza. Qua ci sono tutte le notti di luna sugli abeti, tutti i cieli infinitamente stellati, interminabili tramonti, albe con la neve, caminetti accesi, canzoni e partite di pinnacolo, qua sei stato parte di più famiglie, ospite, inquilino, padrone di casa, esule. Qua hai contato le tue benedizioni e le tue malinconie, e sei rimasto a fissare oltre un vetro tutte le altre vite possibili, tutti i destini, tutte le promesse.
Ed è proprio qui che torni stasera, nella luce salmone della tua camera, e pensi a tutte le promesse, a quelle ricevute, mantenute, tradite, fatte. E ne senti tutto il peso, tutta la violenza, ma anche tutta la bellezza, tutta la necessità quasi biologica. E pensi alla prima promessa che riceviamo, al primo logos, yo siempre estaré a tu lado, e a quando l'abbiamo ricevuta, e a quando la facciamo noi, la prima volta, col cuore, senza chiedere nulla in cambio, solo perché siamo uomini, solo perché ne siamo degni.

21 giugno 2010

Above us only sky





La terra era marrone scuro, compatta, piena di sassi, radici. Abbiamo scavato con una zappa e una vanga, dandoci il cambio, due minuti a testa. Alla fine ci siamo messi in ginocchio e abbiamo finito il lavoro con le mani; e quel cielo infinito e implacabile sopra di noi, solo azzurro e nuvole e luce e un temporale in potenza e tutto il dolore del mondo, del nostro mondo, in quel corpicino avvolto in un lenzuolo bianco, il corpo di Emma, il corpo della nostra gatta.



Un dolore così è come un fiotto di sangue inarrestabile che parte dalle orecchie, dai canali lacrimali a fianco del naso e arriva ai piedi, e nel mezzo ci sono la pancia, i polmoni e il cuore, e hai l'impressione che sia tutto liquido, che il corpo sia liquido e bollente e che non ci sia un confine alla pena, allo strazio.



L'amore per un animale non passa per il cervello, non ha nulla di intellettuale. E' tutto istinto, è tutta emozione. Un gatto è la parte più segreta e misteriosa di noi, quell'andare-verso che rimane un restare-soli, un annusare e un abbracciare e un restare diffidenti. Un gatto è l'enigma della vita, non è mai nostro, è il nostro coinquilino, il nostro ospite desiderato, invincibilmente indipendente. E' il nostro amore.



E quando muore, quando dobbiamo dargli l'ultimo addio, quando gli diamo l'ultimo bacio, l'ultima carezza, e gli teniamo la mano sul costato mentre si addormenta per l'ultima volta, muore una parte di noi, muore quel pezzetto della nostra vita che ha respirato con lui, che infinite volte ha camminato per casa, sul terrazzo, ha dormito su divani, letti, pile di golfini, tappeti, vasi, scatole di scarpe.



Ed è un lutto che non ti aspetti, un'onda che ti travolge. Il cervello può minimizzare, può mettere in prospettiva, ma la pancia e il cuore ululano, gridano, impazziscono, per la perdita di un essere che ci ha accompagnato, cullato, accarezzato, e che si è presa magicamente cura di noi, in infinite notti, in infinite giorni, vegliandoci e proteggendoci con una magia che mai capiremo, ma che è antica di millenni, ed è il patto segreto tra l'animale domestico e l'uomo.



Emma come tutti i gatti aveva le sue peculiarità, le sue idiosincrasie, e nel ricordarla mi sembra davvero di ricordare una persona, unica nell'universo, unica nel mio cuore. Emma mi svegliava tutte le mattine, con tecniche raffinate che andavano dal leccarmi la pelata al gettare per terra con le zampe le pile di fumetti sul comodino, o gli occhiali. 



Emma non si limitava a mangiare con la ciotola, ma prendeva il cibo con le zampe e se lo portava al muso, quasi fosse un umano, quasi volesse imitare i suoi due padroni, i suoi genitori. E questo rendeva l'angolo delle sue ciotole un perenne caos di resti di cibo, che pazientemente andavano lavati e scrostati.



Ma questo era l'unico difetto della nostra gattina, che per tutto il resto si comportava in maniera esemplare: non miagolava, non si faceva le unghie sui mobili (preferendo una delle piante del terrazzo, sui cui ora resteranno per sempre i resti di dieci anni di convivenza felina). Disdegnava il cibo umano, e si poteva lasciare qualsiasi tipo di carne o di pesce sulla tavola o sul lavandino, certi che non avremmo trovato mai Emma intenta a mangiarselo. 



Emma se ne stava a dormire, da sola o in nostra compagnia, sulle nostre pance e le nostre ginocchia, salvo i momenti in cui usciva in terrazza, forse saliva sul tetto, e si dedicava ai misteriosi passatempi dei gatti domestici: stare appostata a controllare piccioni e corvi, dare la caccia ai pipistrelli, mangiare le foglie, restarsene appollaiata a controllare chissà cosa, enigmatica e sola, eppure sempre presente, un'essenza che in ogni istante sentivamo nella casa.



A volte si infilava nel guardaroba, e ogni volta che si usciva di casa il rituale era andare a controllare se non fosse rimasta chiusa dentro, come parecchie volte era successo, una addirittura per 24 ore. 



Emma era così. Emma era il nostro amore. Non c'è altro modo per dirlo. Emma sentiva il dolore, sentiva la tristezza, e veniva da te, a strusciarsi, a salire sulle ginocchia, a impastare con le zampe la tua pancia. Emma ti leccava le mani e il viso, se voleva. Emma sapeva salvarti la vita, sapeva dirti "vivi" quando ti sentivi morire, Emma era magica, dolce, sottile, discreta, ruffiana. Decideva chi gli piaceva e chi no, e snobbava certi amici e ne adorava altri, e si nascondeva durante le feste, salvo poi presentarsi verso la fine, a fare un giro, vedere chi c'era, dispensare qualche moina ai suoi preferiti, per poi tornare sul tetto o ai piedi del cipresso in terrazza, a guardare la luna.



Quando dopo sedici anni se ne è andata, portata via come capita quasi sempre da una nefrite, dalla perdita di funzionalità dei reni, il dolore mi ha travolto, ci ha travolti. 



Adesso Emma riposa nella terra della casa sul Sillaro, ai piedi di una grossa roccia che sembra quasi un altare celtico, in mezzo a un bosco di querce. Abbiamo scelto un punto da cui si vede la valle, un piccolo quadrato di terra su cui abbiamo posto una lastra di pietra, qualche fiore di campo, un po' di muschio. E una sola parola incisa con un sasso: Emma. Solo questo.



E dopo il funerale, nella casa vuota, nel crepuscolo assolato di un 17 giugno impossibilmente luminoso, ho pulito per l'ultima volta le sue ciotole e sono uscito sul terrazzo che lei tanto amava, pensando che non sarebbe mai più stato lo stesso, che non avrei mai più potuto aspettarmi di vederla sopra un vaso, o accovacciata sul muretto a fissarmi. 



E in quel momento l'ho sentita, ho sentito la sua presenza, ho sentito che c'era ancora, che non se n'era mai andata, che era pronta ad asciugare le mie lacrime, e a dirmi ancora una volta: vivi.

15 giugno 2010

30641_462105048064_791333064_5986267_4361864_n Ecco. Me ne sto al buio e al silenzio nella tana del telefono amico,
senza TV e senza radio e con un PC che ha ubuntu come sistema operativo e
nessun plug in per vedere alcun tipo di streaming.
Ecco. Me ne sto
al telefono amico e non chiama quasi nessuno, salvo un utente abituale
che chiama sempre e stiamo al telefono e lo faccio parlare, partendo da
una foto misteriosamente scomparsa, di cui è rimasto solo il vetro.
La
foto, si è persa, una foto di sconosciuti, una foto non sua, una foto
non mia. Ma si parte da quella cornice ormai vuota, misteriosamente
vuota (perché nulla si perde mai, nulla, e niente scompare nel vuoto,
no?). E lui esplora il suo passato, i suoi nonni, le generazioni
passate. Storie di padri e di figli. Di amore e violenza. Di fuga e
resistenza. E non di amore. Proprio no. Di una vita senza amore. E io lo
ascolto, mentre in lonrtanaza sento le urla dei tifosi. Stiamo
perdendo. O vincendo. O pareggiando.

Non lo so.

Come il
gatto di Shroedinger me ne sto un minuto nell'indefinitezza. Possiamo
aver segnato loro, possiamo aver segnato noi, ma che importa?

Ascolto
il mio utente parlare, lo saluto, mi congedo, prendo una mentina,
mangio una delle gallette di mais che mi sono portato per cena, mi
scatto una foto (di profilo) qua nel buio, e me ne resto in silenzio a
pensare.

Pensare al cielo che era così azzurro oggi che anche un
palazzo anonimo di via Andrea Costa, color grigiotopo, si stagliava con
così tanta forza che avrei voluto fermare la macchina alla rotonda della
ICO e prendere la macchina fotografica e bloccarlo, quel cielo,
quell'azzurro, quel contrasto urbano così assoluto da mozzare il
respiro.

Pensare alla mia gatta Emma, che anche oggi è arrivata alla
fine del giorno, con une flebo, una pastiglia, un clistere, e che si
trascina sul pavimento di casa, debole e scricciolo, ma ancora
orgogliosa e bellissima e austera, la stessa divinità che ha vegliato
per sedici anni sulla vita mia e dei miei cari, e che continuerà a farlo
dal paradiso dei felini, prestissimo.

Penso alle lacrime che mi
vengono adesso, a tutte quelle che ho versato in questo anno, per
dolore, per rabbia, per amore, per la gioia, la felicità, l'abbandono,
il piacere, la perdita, il rimpianto.

Penso a quello che bisogna
dire per lasciare andare, e per tenere, e conservare. A quello che si
perde e a quello che si guadagna.

E come un gatto di Shroedinger
pentito, scrivo queste righe, e poi vado su Twitter. A vedere chi ha
segnato. Bianco o nero. Sì o no. Sì, diciamo. Sì.

15 maggio 2010

Napoli ex post 1


The Spirit
Inserito originariamente da Marco40134
A Napoli ci sono venuto - oltre che per provare l'ebrezza di lavorare il giorno del mio compleanno - per l'annuale Comicon. La manifestazione partenopea è diventata ormai la seconda per importanza dopo Lucca, e anche nel 2010 la creatura di Claudio Curcio e soci, erede di quei saloni del fumetto degli anni '80 che si svolgevano a Castel Dell'Ovo e che ricordo con nostalgia. Ma questo Comicon vuole essere qualcosa di completamente diverso, commerciale ed elitario, shopping center e galleria d'arte, sofisticato e pulp, caciarone ma elveticame

07 maggio 2010

Le cose che si fanno a maggio


Garden growth
Inserito originariamente da Marco40134

Svegliarsi e vedere la luce gialla del mattino proiettata sui palazzi di fronte, verso ovest, con questo muro impossibile e grigio scuro di nuvole dietro.
Accarezzare la gatta che fa le fusa e mangia un pochettino, caricare qualche foto di tramonti, e starsene così, tra il sorgere e il calare del sole, un venerdì di maggio.

Osservare le piante che crescono sul terrazzo.. Il gelsomino nuovo e i pomodori nuovi vicini all'ulivo e al limone di sempre, e le piante che credevo morte che in pochi giorni dalla potatura sono rinate e spingono verso il cielo foglie e arbusti.

Tenere ferma la gatta mentre la veterinaria le fa l'ennesima flebo, e lei accetta malvolentieri il liquido che le allungherà la vita.

Sentire ogni venatura dell'universo, ogni crepa, ogni respiro. Perché l'universo è vivo, siamo noi, è la vita che viviamo, ogni nostro risveglio, ogni nostro passo, ogni nostra lacrima, ogni nostro bacio.

E tutto cambia, a maggio, tutto rimane uguale, tutto fluisce, è un battito, un istante, un ultimo saluto, un primo contatto, l'estate che avanza anche se non si vede, sotto il sudario di nuvole.

24 aprile 2010

Resistenza e amore (24 aprile)

Otello, Giordano, Walter, Renzo, Ermanno, Antonio, Luciano, Corrado, Libero.



I nomi su questa targa, in via della Crocetta, in un pezzetto di Bologna ovest, nel mio "rione", come dice la targa. La targa con la stella rossa in cima, e il mazzo di rose e la corona con la fascia tricolore e le parole che fanno venire un brivido " partigiani di questo rione caduti sotto il piombo nazifascista a difesa della libertà."



La targa davanti alla quale passo ogni giorno, ma alla quale in questo mattino piovoso di aprile mi inchino, davanti alla quale mi commuovo.



Otello, Giordano, Libero, Ermanno, Renzo. I nomi di persone vere. Fratelli, padri, figli, amici, compagni, mariti. Uomini. Partigiani.



Morti in quella Resistenza di cui domani celebriamo sessantacinque anni. In quella Resistenza di cui ci si vorrebbe far dimenticare, ma che è viva, più viva e vera che mai. Una resistenza che mai come oggi sento (sentiamo in tanti) attuale e urgente. Perché davanti al razzismo, all'oscurantismo, all'intolleranza, ai bambini cui si vorrebbe negare la sepoltura, a coloro cui si vorrebbe negare la voce, davanti allo strangolamento della democrazia, ora e sempre, Resistenza.



Davanti al fascismo ormai sdoganato e risorto, spudorato, al fascismo in dosi quotidiane. Resistenza.



Resistenza e amore, come dice una canzone.Nient'altro.



Otello, Giordano, Ermanno, e proprio tu, Libero: grazie di avermi reso libero, libero di camminare in questo rione, a testa alta, oggi, 24 aprile 2010, sessantacinque anni dopo.

Un uomo libero. Come voi.

Blog posted here.





Resistenza e amore (24 aprile)



13 aprile 2010

Ricomincio da qui


Ricomincio da qui
Inserito originariamente da LSPvestal

Ascolto Malika Ayane nella notte. Dopo il temporale. Dopo il crepuscolo. Dopo che la luce arancio di un tramonto impossibilmente perfetto ha dipinto una Bologna nuova, un po' allibita e illividita, ma viva, come sempre, viva .

Ascolto Malika e riconosco ormai le sue canzoni. Le ho sentite varie volte negli ultimi giorni.
Ho preso entrambi i CD, Grovigli, e Malika Ayane. La mia preferita è Come Foglie.





"Di tremare come foglie e poi. Di cadere al tappeto. Di estate muoio un po'. Aspetto che ritorni l'illusione di un'estate che non so. Quando arriva e quando parte. Se riparte.

E' arrivato tempo di lasciare spazio
a chi dice che di tempo e spazio non ne ho dato mai."



La ascolto nella notte, Malika, e guardo vecchie foto, leggo cose sparse, penso a cose diverse, ritagli, spezzoni, piccoli frammenti.

E' notte. Buonanotte, mondo, buonanotte.



Daybreakers


Daybreakers
Inserito originariamente da *dorachan*

Daybreakers vorrebbe essere quello che è stato Gattaca per i film di fantascienza… una pellicola originale che esce dai canoni del genere per introdurre qualcosa di nuovi, inedito, non scontato.
Solo che stavolta siamo nel settore dei film dei vampiri, genere mai usato e abusato quanto ora. Se in True Blood in televisione si è ipotizzato un mondo in cui i vampiri sono allo scoperto e convivono tra gli umani grazie all'esistenza di una forma di sangue artificiale, in Daybreakers tutti gli abitanti del pianeta o quasi sono vampiri, e si cibano dei pochi umani sopravvissuti tenendoli in allevamenti tipo mucche da mungere. E il sangue artificiale non funziona, il che sta in pratica sterminando l'intero pubblico di succhiasangue.



L'idea di una società completamente vampirica è tanto improbabile quanto affascinante, con case e città che di giorno si sigillano per lasciar fuori la luce del sole, e notti in cui tutto brulica di vita (beh, di non-vita). E l'idea degli umani/mucche è resa cinicamente, efficacemente, come tutta la visione del mondo, del vampire world.



Poi ci sono cose che non funzionano, qualche buco di sceneggiatura, scene "gore" un po' fine a se stesse, una sensazione di fretta nell'assemblare il tutto che non convince al 100%. Ma il film si vede, è un bel fantasy horror, i colpi di scena non sono proprio tutti scontati, il che è più di quanto si possa dire della maggioranza dei prodotti di genere.
Un film che si può vedere e gustare, ben lontano dal trionfo di Gattaca però.



07 aprile 2010

A latere: una piccola storia di censura


23.25 - 11.25 PM
Inserito originariamente da pepe50
Una piccola storia squallida di censura. Una piccola storia emiliana. Una storia di orchi e silenzio, di chi ha detto che il re era nudo e ha pagato il prezzo, di ex comunisti mangiapreti, ora trasformatisi per interesse in censori di stato.

Una storia triste.

Una piccola storia di provincia, di un partito che un tempo era un grande partito laico ed è ora (mi illudo, non in maniera irreversibile, ma forse mento a me stesso, per pochissimo ancora) un piccolo partito in fondo bigotto e benpensante, incapace di tollerare la discussione, pronto solo a mantenere lo status quo e a scollarsi dai suoi valori. I valori della libertà, della sinistra, del pensare fuori dal coro, del dire che il re è nudo, del parlare di tutto senza paura.

Siamo a Carpi. La città più ricca d’Italia. Una delle più di sinistra. Forse.

Un sindaco del PD, Enrico Campedelli. Un’assessore alle politiche sociali che si chiama Miria Ronchetti.

Miria ha una pagina Facebook. Scrive del suo lavoro. Non so come lavori, ma scrive cose interessanti, belle, condivisibili:
Tipo: Oggi confronto di idee con associazioni di categoria e cooperative del terzo settore sul piano attuativo 2010 (programmazione degli interventi dell'anno). Spunti stimolanti sul lavoro dei prossimi mesi.
Oppure: vorrei che tra israeliani e palestinesi scoppiasse la pace.
O anche: Dove è finita la Legge? Quella che vale per tutti, generale, imparziale, non retroattiva? Se basta essere molti per comandare alla faccia di tutte le regole non siamo messi bene. Come potranno chiedermi di riconoscere il risultato di queste elezioni?
Miria ha 57 anni. E’ sposata. Ha due figli. E’ una persona posata, seria.
Miria, davanti allo scandalo dei preti e della pedofilia, dice qualcosa che in molti pensano, che salta fuori in rete nelle battute e nelle vignette più salaci, irriguardose. Fa una boutade. Dice – testualmente - Mi viene un pensiero cattivo: non e' che i preti non vogliono l'aborto perché vogliono tanti bambini a loro disposizione?
E’ una iperbole, una iperbole satirica, una frase forte, sicuramente, che potrà fare infuriare qualcuno, e applaudire altri, ma che depurata dalla sua secchezza di status di Facebook vuol dire: ma la Chiesa Cattolica, che lotta e ha lottato indefessamente per la vita di ogni feto, di ogni bambino non nato, perché non ha lottato con altrettanta forza per proteggere i bambini nati e cresciuti, dalle mani crudeli degli orchi al suo interno? Come giustifica questa cosa, come può aver protetto anche solo UN orco che ha violentato UN SOLO bambino?

E poi è vero, Miria dice questa cosa con la forza del paradosso, irride, ma esprime comunque un pensiero. Forte, laico, forse eccessivo, e contro cui ci si può scagliare, volendo, ovviamente, ma un pensiero.

E cosa fa il sindaco del PD di Carpi. Il Compagno Sindaco Campedelli?
Si indegna. Protesta. Spinge alle dimissioni l’assessore. E oggi accetta le dimissioni, con un comunicato che dice testualmente:
“Pur riconoscendo il lavoro prezioso svolto dall’assessore Ronchetti in questi mesi, e ringraziandola per la collaborazione prestata –quanto avvenuto ha fatto venire meno il rapporto fiduciario che aveva portato alla sua nomina. Chi ricopre cariche istituzionali, a qualsiasi livello, non credo possa permettersi dichiarazioni come quelle pubblicate su Facebook.”

Esatto. Dice “non credo”. Come se il poter esprimere le proprie opinioni fosse un optional. Come se il diritto di critica, di satira, di urlare la rabbia, lo sdegno, l’ira, fosse un lusso, qualcosa che a volte si ha e altre no. E chi decide, signor Sindaco, quello di cui possiamo parlare e quello su cui dobbiamo stare zitti? Quello che possiamo criticare anche ferocemente, o su cui essere acquiescenti?

Nella lotta contro gli orchi, ci sono solo due sponde. Nella lotta per la democrazia e per la libertà di espressione, pure.

Lei da che parte sta, Signor Sindaco, Compagno Campedelli?
Lei da che parte sta?
Lei che prova sdegno non per gli orchi e i loro complici, ma per chi gli orchi li beffeggia, magari crudamente, generalizzando come fa la satira, ma li beffeggia, e ha il sacrosanto diritto di farlo.

Da che parte sta?

Nelle tue mani


La violenza dell'orco avviene in tre fasi.

Prima c'è l'abuso, la violenza. Il corpo violato. L'intimità violata. Un confine oltrepassato. Lo strazio dell'innocenza, della fiducia. La nascita della vergogna di sé, di una vergogna che non avrà confine.

Poi la seconda violenza, il silenzio imposto, dall'orco o dalla vergogna di cui sopra, o spesso il ricatto, la bugia, l'intimidazione. 

Quindi, se si trova la voce per dire "io", per dire "no", una terza violenza, quella della copertura, dell'impunità, dell'omertà sociale, delle pastoie legali, di una giustizia che o non ci sarà, o sarà tardiva, o ancora peggio, lascerà gli orchi, i boia, i carnefici, liberi di commettere altre violenze, di spezzare altre vite, di perpetuare il ciclo dell'orrore, dell'impunità.

L'orco può essere uno sconosciuto, ma più spesso è un familiare, un amico di famiglia, un insegnante. O, come sottolineato in un vortice in crescendo, da qualche mese a questa parte, un sacerdote. Un prete. Il detentore del maggior rapporto di fiducia ipotizzabile, quello tra l'uomo e dio, tra un bambino o una bambina e Dio. Dio padre. La giustizia assoluta. L'amore assoluto. Quindi, terribilmente, tremendamente, una violenza paragonabile per impatto solo all'incesto.

E se l'orco non è l'uomo nero nascosto dietro le siepi ai giardinetti, ma colui che dovrebbe guidare, proteggere, aiutare, consolare, la domanda da porsi è: da che parte vogliamo stare?
Dalla parte degli inermi, dei deboli, delle vite straziate, spezzate, delle innocenze che mai più saranno tali? O dalla parte degli orchi? Dei boia? Dei carnefici? Di coloro che abusano del rapporto di assoluta fiducia per commettere crimini di cui Gesù Cristo stesso disse: “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare."

Perché - mi dispiace - non c'è via di mezzo. 
O si sta con le vittime o si sta con il carnefice. O con le vite spezzate o dalla parte di coloro che le spezzano.

Da che parte sta il ministro Alfano, che indice un'ispezione governativa contro un giudice "reo" di investigare su casi di clero e pedofilia? 
Da che parte sta la curia di Bologna, che invece di sospendere Don Andrea Agostini, condannato a sei anni di reclusione per abuso su minori, lo trasferisce al Santuario di San Luca, simbolo della mia città?
Da che parte stanno coloro che minimizzano? Coloro che invece di accertare la verità erigono barriere, steccati? Coloro che hanno taciuto, insabbiato, decine di casi (ma anche se fosse stato UN solo caso, sarebbe stato meno grave? sarebbe stata una complicità più "lieve" con l'orco?).

Da che parte stanno coloro che reputano la pedofilia un peccato perdonabile in confessione, a differenza di peccati che necessitano di salvacondotti speciali come l'aborto?

Quando sento levarsi gli scudi acriticamente in "preventiva" difesa delle gerarchie cattoliche, penso che non si tratta di fare delle crociate, e che nessuno può condannare ipso facto un'organizzazione come la chiesa cattolica che aiuta, assiste, accudisce, con dedizione, fede e generosità milioni di persone su questa terra. Ma credo anche che arroccarsi non servirà a nulla. Che non servirà a nulla paragonare questa ondata di rivelazioni mediatiche a una "crociata contro il cattolicesimo" o come stoltamente dicono alcuni, all'olocausto.
Non è in atto una campagna per "criminalizzare" la Chiesa. E' in atto una campagna per la giustizia. E nemmeno le gerarchie vaticane potranno sottrarsi alla giustizia degli uomini, alla giustizia di coloro che stanno dalla parte degli innocenti. Contro gli orchi, e contro coloro che hanno permesso agli orchi di esercitare per anni, per decenni, i loro crimini.

Finché l'ultimo prete pedofilo non sarà stato consegnato alla giustizia, e insieme a lui tutti coloro che negli anni lo hanno coperto o nascosto, che finché tutti i nomi e i cognomi e i crimini non saranno resi pubblici, in tutto il mondo, non ci sarà pace. Non ci sarà giustizia. Non ci sarà redenzione o rinascita possibile.

Forse decenni fa sarebbe stato possibile coprire tutto, nascondere tutto, ma oggi, in cui ogni evento riecheggia istantaneamente a ogni angolo del globo, ogni grido spezzato, ogni accusa, ogni lamento che un tempo sarebbe stato coperto e insabbiato, percorre i continenti alla velocità della luce, e rivela quello che per troppo tempo è rimasto sepolto dal silenzio e dalla vergogna.

(per la foto si ringrazia Floberth)





02 aprile 2010

Quarant'anni o sedici

paninicomics.it - Io sono l'altro.




Oggi Marvel Italia compie 16 anni... e quarant'anni fa questo mese i primi albi Marvel in Italia apparivano, editi dalla Corno.


Per ricordare, ecco il pezzo che ho scritto su SPIDER-MAN di questo mese, numero celebrativo dell'anniversario...



29 marzo 2010

Sapessi come


Green Building in Milan
Inserito originariamente da Marco40134

Ho guidato da solo a fianco del Naviglio e per la strade della Grande Città in una macchina non mia, ascoltando musica non mia, canzoni randomiche da compilation sconosciute, ma facendo proprie entrambe, e incrociando jogger con le cuffie nelle orecchie, studenti che facevano le bolle di sapone davanti al liceo, anziani che trasportavano biciclette su ponti di metallo.

E in quest'aria diversa, in questa luce diversa, ho fatto foto a palazzi verdi, a felini di marmo, a tartarughe e pappagallini. E ho comprato un cartoccio di olive snocciolate al mercato del sabato di via Mercadante. Così, per allegria.
Camminando tra massaie e maghrebini, tra universitari e perdigiorno, ho perso tempo e camminato a lungo, in viali che a volte sembravano uguali, e a volte inediti e sorprendentemente diversi, con queste architetture anni '60 e piante rampicanti e giardini, e colori diversi da quelli che conosco: giallo, verde, bianco, grigio, antracite, amaranto, lontano dal familiare arancio, giallo e ocra di Bologna.

A Milano mi sento a casa, mi sono sempre sentito a casa. Mai capito perché, fin dalla prima visita oltre venticinque anni fa. Una città forse anonima, ma reale, viva, dura e dolce, brutta e bellissima. Nel sole, nella primavera appena arrivata, con il cielo terso, le Alpi visibili nello sfondo, come una cortina, è qui che mi accoglie, indifferente e al contempo ospitale. Nella luce.

28 marzo 2010

Noi, per una notte


Rai per una notte
Inserito originariamente da PDnetwork

Sono stato in Piazza Azzarita giovedì sera, a Bologna. E' la piazza antistante il Paladozza, il Palazzo dello Sport storico, dove giocavano a basket la Virtus e la Fortitudo e dove passano e sono passati cantanti e performer di ogni tipo. Ma l'altra sera sul palcoscenico non c'era un concerto, c'era Santoro, c'era Raiperunanotte, con 4000 persone a vedere il programma all'interno, forse due o tre volte all'esterno, e centinaia di migliaia attaccati alla rete. Me ne sono restato là fuori, a vedere passare la città, ritrovando volti familiari, volti sorridenti. A tratti mi sono voltato per vedere la luna a metà, accorgendomi che c'erano ragazzi arrampicati in cima ai camioncini, c'erano ragazze sul prato, sotto i portici, ovunque. E tutti guardavano lo spettacolo, applaudivano a volte, altre sbuffavano: tutto si può dire di Raiperunanotte tranne che sia stato perfetto. Non lo era, era a volte sforzato, altre ripetitivo, certe banale: ma era qualcosa di nuovo, un esperimento visionario di comunicazione "dal basso", e diceva qualcosa che è sempre più difficile dire, qualcosa cui siamo talmente assuefatti che ci siamo rassegnati, quasi, o troppo.

Diceva questo:

in Italia il presidente del consiglio controlla le reti di sua proprietà e le usa illecitamente come strumento di propaganda personale, in sfregio della legge e della morale politica nel senso più alto del termine.
Inoltre controlla le reti pubbliche ed altrettanto illegalmente è riuscito a zittire in campagna elettorale ogni programma a lui sgradito. Illecitamente.
I telegiornali pubblici e privati servono in dosi massicce solo come strumento di propaganda per il Primo Ministro e la sua parte politica. Di nuovo, illecitamente (vedi multa inflitta alla Rai, e che verrà pagata con i soldi pubblici, quindi con i nostri).

Sono verità. Che nessuno può negare. Nessuno in buona fede.
Eppure, diamo per scontato che sia così.
Pensiamo che sia ineluttabile, inevitabile.
E parliamo d'altro.
Dimenticando che è quello, il vulnus, l'illecito. La "cosa" che delegittima la destra dal governare il paese. Perché chi vince barando sulle regole del gioco, si può portare a casa il trofeo, ma ha barato, non gli appartiene, ha rubato la vittoria.

Ecco, Raiperunanotte ha detto questo. Che il re è nudo. Che se un Primo Ministro deve zittire tutto quel che può zittire, deve censurare, chiudere, bloccare ogni voce sgradita, commette una violenza contro il paese. Contro tutto il paese.

Oggi andrò a votare. Mai e poi mai mi asterrei. E voterò ancora PD. Non sono felice di come sta andando il PD, e le ultime, infelici sortite di Bersani sulla sentenza della corte Costituzionale sui matrimoni omosessuali sottolineano lo scollamento del partito da una vera, sostanziale visione laica della politica. Ma lo voterò perché mi sembra l'unico voto massicciamente utile a scuotere la situazione, l'unico che può avere un peso reale contro un governo che può zittire ogni voce sgradita (in TV ovviamente, l'unico mass media capace di muovere il consendo), ma non spegne il cervello di chi sa ancora pensare, ragionare, credere, sperare.

17 marzo 2010

Reed e il numero 5


Fantastic Four #571
Inserito originariamente da cskilpatrick

Ho letto il primo ciclo dei Fantastici Quattro di Jonathan Hickman e Dale Eaglesham senza troppo entusiasmo.

Avevo sfogliato uno degli episodi della storia, non il primo, e mi aveva deluso. I Fantastici Quattro sono una delle serie Marvel più complesse da scrivere, i suoi eroi sono delle icone moderne, e hanno alle spalle decenni di storie firmate da maestri come Lee, Kirby, Thomas, Buscema, Wolfman, Perez, Simonson, Byrne, Claremont, fino ai recenti Waid, Wieringo, Millar, Hitch. Renderli a fumetti non è facile, si rischia o di banalizzarli o di spingerli in saghe cosmiche che possono facilmente trascendere l’epicità e finire nell’eccesso, nella spettacolarità galattica fine a se stessa.

Hickman – autore del South Carolina fattosi notare per alcune collane della Image Comics – ha scelto come fulcro del suo ciclo il personaggio di Reed Richards, alias Mr Fantastic, alias “l’uomo di gomma” o l’uomo elastico, come lo chiama la vulgata popolare. E non è facile scrivere Reed.

Reed è l’uomo più geniale dell’universo, un “immaginauta”, ma un uomo che vive nel suo cervello, e che non si capisce come abbia potuto sedurre e sposare e avere dei figli dalla ben più carnale Susan Storm (che lo ha preferito al rude, irascibile, passionale Namor, il Sub Mariner).

Eppure Hickman ci è riuscito, e leggersi d’un fiato questo primo arco narrativo dedicato a Mr Fantastic è stata un’esperienza per un fan dei FQ come me… ma anche per un aspirante counselor di scuola gestalt che ha un’infarinatura meno che superficiale di Enneagramma.

Perché Hickman, nella sua narrazione di Reed, della sua infanzia, di come è oggi con il resto del mondo e della sua famiglia, riesce a dare – se ce ne fosse stato bisogno – una descrizione di Mr Fantastic come un prototipo perfetto di uno dei caratteri che compongono la stella a nove punte dell’enneagramma caratteriale. Perché Reed Richards, signore e signori, è un enneatipo cinque. Un perfetto, innegabile, affascinante prototipo del tipo caratteriale più cervellotico e schizoide che esista. Il cinque.

Ma prima di entrare in questa mia proposta di Reed come icona dei cinque, due-parole-due sull’enneagramma, dato che vorrei in una serie di post proporre alcuni brevi spunti su personaggi dei fumetti che incarnano le diverse “maschere” enneatipiche.

L’Enneagramma è uno dei modelli di classificazione delle tipologie caratteriali, adottato da più correnti di psicologia e soprattutto da uno dei filoni della gestalt. Si basa su una classificazione in nove “famiglie” di caratteri, segnate ognuna da una nevrosi di base o da un “peccato” di base. E’ una sorta di tassonomia dell’anima, inscritta in un antico simbolo sufi, l’ennegramma, il “simbolo a nove punte”, che secondo gli antichi poteva fungere da modello per ogni processo della natura e del mondo.

Secondo le teorie dell’enneagramma, il carattere si polarizza su nove “macrofamiglie” caratteriali, nove modi di vedere il mondo, e soprattutto nove sistemi di adattamento alla vita, nove sistemi di difesa, nove maniere di sopravvivere che diventano nove maniere di vivere.

E ognuno di noi, pur potendo trovare elementi propri in diversi enneatipi, ne incarnerà soprattutto uno, quello più vicino al modo che ognuno ha trovato per sopravvivere alla propria infanzia, e all’incontro/scontro con il mondo.

Ovviamente i personaggi dei fumetti non hanno un carattere, ma hanno una “caratterizzazione” , sono dei “caratteri”, dei “characters” , delle maschere. Ma alcuni, se li guardiamo bene, possono incarnare perfettamente alcune delle idee dell’enneagramma, possono diventare personaggi “ennatipici”.
Chi può negare che Spider-man sia un carattere sei (un fobico pieno di senso di colpa che si costringe al coraggio)? O che Thor e Iron Man siano dei due (orgogliosi, consci della propria forza, fino alla perdità dell’umiltà e dell’autocontrollo?) O per l’appunto, che Reed Richards, il capo dei Fantastici Quattro, sia un cinque.

Il cinque è il più cerebrale dei caratteri. Qualcuno che non chiede per non dover dare, e non dà per non dover chiedere. Qualcuno che da bambino è stato così “invaso” (dalla famiglia, dal mondo) che si è creato un mondo tutto suo, una bolla, una monade, un mondo di puro intelletto, dove le emozioni entrano pochissimo. Un cinque ama stare da solo. Un cinque vive soprattutto nel suo cervello. Spesso è un genio, o uno studioso, o una persona dedita alla scienza e alla ricerca più che alla vita di relazione. Un cinque è una personalità schizoide, diciamo.

E Reed Richards, da sempre, ma particolarmente nella versione di Hickman, è un cinque, un super-cinque. Chiuso nella sua stanza delle idee, si separa dalla moglie e dalla famiglia per cercare i 100 concetti che cambieranno il mondo, ma soprattutto il 101esimo “solve everything”, la soluzione di ogni problema dell’universo. E in questa sua dimensione separata conosce i Reed Richards delle altre realtà parallele, suoi corrispettivi che in questi mondi sono diventati ancora più potenti, ancora più geniali, in grado di manipolare i soli e di combattere con i Celestiali, gli dei cosmici che forgiano la vita dell’universo. Man mano che la storia continua, però, comprendiamo che il “nostro” Reed ha qualcosa che i suoi corrispettivi trans dimensionali non hanno: è l’unico a non aver rinunciato all’amore, alla sua famiglia. Perché il prezzo per essere una creatura suprema e risolvere tutto è proprio questo: rinunciare alla propria vita, rinunciare alle persone che si amano.

E quando Reed alla fine della storia esce dalla sua stanza e riabbraccia sua moglie, fa quello che si fa quando si decide di “lavorare” sul proprio carattere: fa un passo, un solo passo, fuori dalla stanza chiusa, fuori dal carattere, per vedere anche solo per un attimo come è il mondo visto con altri occhi.
E quell’unico passo, quell’unico attimo, cambia tutto, salva tutto, ci salva.

16 marzo 2010

Una mina vagante

Ho visto Mine Vaganti. Un sabato sera. In un multisala pienissimo. Dopo aver cercato invano di andarci in uno dei cinema "di qualità" più famosi e grandi di Bologna. E in effetti il nuovo film di Ozpetek ha tutti gli ingredienti per piacere: una storia originale, una commedia/tragedia che parla dell'Italia di oggi e che affronta sì argomenti forti (il coming out di due fratelli dell'alta borghesia leccese) ma in maniera abbastanza patinata e leggera, con due attori come Scamarcio e Preziosi nella parte dei protagonisti, da poter piacere a tutti, o meglio, piacere un po' a tutti.
Io l'ho visto e ho avuto una sensazione un po' controversa.

La sceneggiatura ha alcuni aspetti un po' farseschi e forzati, qualche siparietto caricaturale di troppo, e un'alternanza tra commedia e tragicommedia che non sempre funziona. L'intreccio ha tutti, tutti, tutti, gli elementi che ci aspettiamo da Ozpetek: la saggezza degli anziani, la morte come unico vero elemento di cambiamento (non l'amore, non il dolore, non la verità, ma la morte!), il mescolarsi della situazione del presente con una backstory che affonda le radici nel passato remoto, la contrapposizione tra la famiglia "d'origine", motore di miseria e costrizione e menzogna, e quella amicale, libera, solidale, vera. C'è persino una rappresentazione esagerata e oleografica di una distesa di dolciumi, come ne La finestra di fronte. E ovviamente ovunque cibo, pranzi, cene, al centro della scena, e canzoni, ascoltate, cantate, al cui ritmo la vita continua e i personaggi si muovono.

Si ride. Molto. Alcune gag sono irresistibili. La recitazione di protagonisti e comprimari è eccellente, soprattutto delle interpreti femminili.
Ozpetek, ancora una volta, esce dal binario del cinema italiano nazionalpopolare ed esplora il mondo parallelo in cui ogni amore è possibile, in cui uomini e donne possono e vogliono amare chi gli pare, subendo o reagendo alle costrizioni della morale e della famiglia. E questo filo lega assieme più generazioni, quelle mine vaganti che si ostinano a cercare una libertà del cuore, quegli zucconi che non imparano mai la lezione e continuano ostinatamente a seguire i loro sentimenti.

E che alla fine camminano assieme, nel passato e nel presente, con i loro amici e parenti, vicini e abbracciati, oppure solo uno al fianco dell'altro, guardandosi in sottecchi, per le strade barocche di Lecce o per le vie del mondo. Camminano.

 



11 marzo 2010

Di fumetti

E' un po' che non parlo di fumetti, ironico per un blog che si chiama Fumo di China. Forse perché di fumetti ne sto "facendo" più che mai, con un abbandono che sembra quasi paradossale in questa temperie economica. Mai ho lavorato a un numero maggiore di albi, con risultati che a volte deludono, ma che spesso sono incoraggianti, come se in momenti difficili il conforto delle storie a fumetti di personaggi o autori che si conoscono potesse dare un po' di sollievo, un meritato svago.

Fumetti da segnalare, quindi, un po' in ordine sparso...

Lou_cover

Per Renoir è uscito Lou, edizione italiana, in un formato bello e originale, dell'omonima serie di Julien Neel edita in Francia da Glenat. Come sta succedendo sempre di più nel nostro paese, i volumi originali (formato A4, cartonati, con 48 pagine di storia) vengono accorpati al ritmo di due o tre alla volta, rimpiccioliti al formato 17x26 o 19x26 o similari, e proposti in una più economica brossura. Questo cambiamento "cosmetico" serve a vincere le storiche esitazioni del nostro mercato, e a rendere d'un tratto disponibili da noi opere altrimenti votate al limbo editoriale.

Nel caso di Lou questa metamorfosi editoriale è straordinariamente benvenuta, dato che ci troviamo davanti a uno dei prodotti di maggior interesse di origine francese, straordinariamente moderno, trasversale, una lettura che rinfranca chi ama la letteratura disegnata e la sogna svincolata da ogni lacciuolo, da ogni scuola, da ogni classificazione. Lou è a prima vista un fumetto "per bambini", nella tradizione del fumetto d'oltralpe che ha interiorizzato gli stilemi di una letteratura disegnata principalmente destinata all'infanzia (o agli adulti che si portano dietro l'infanzia sulle spalle, in un modo o nell'altro). Ma quando si legge, si rivela per quello che è, un fumetto/diario, la storia di una ragazzina figlia di una ragazza madre, in una Parigi modernissima e realissima, multiculturale, dove ci si innamora a suon di MSN e SMS, dove ogni riferimento a fatti o costumi realmente diffusi NON E' assolutamente casuale.
Con un disegno irresistitible, colori tenui e perfetti, Lou è un po' un cigno nero, un "unicum", e quindi forse difficilmente assimilabile a quel che il mercato richiede. Ma Oltralpe ha trionfato per la sua poesia, la sua leggerezza, la sua profondità. E per chi come me ha sognato la sua infanzia con Valentina Mela Verde, questo ne è l'equivalente, trent'anni dopo, con Parigi sostituita a Milano, e un salto generazionale e cronologico e tecnologico assolutamente senza rete.

In ambito super-eroi, lontanissimo da Lou e dai tetti della capitale francese, continuo a restare senza fiato leggendo Dark Avengers. Di Brian Bendis ho parlato, mi piace moltissimo quello che scrive e come lo scrive (con questi dialoghi "naturali" che emulano la parlata dei personaggi alla perfezione), ma quando si mette alla prova con psicotici, assassini, schizoidi, serial killer, dà profondamente il meglio di sé. Bisogna essere dei fan un po' "hard core" della Marvel, ma è davvero ottimo.

Continuano poi le serie che amo e che sempre cito in questo blog, tipo Invincible Iron Man, Captain America, Daredevil, ma permettetemi di citare due delle "new entry" nella hit parade dei comics preferiti dal sottoscritto: 

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Punisher MAX, la nuova serie del Punitore "adulto" scritto da Jason Aaron con disegni di Dillon, è una delle produzioni migliori della Marvel. Aaron (che sta facendo anche alcune cose interessanti con la nuova serie di Wolverine, WEAPON X) non fa rimpiangere Garth Ennis, e forgia uno dei cicli più cupi e duri mai visti del personaggio. Da leggere assolutamente.

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Spider-Woman: Bendis e Maalev ci riescono ancora, e dopo Daredevil affrontano un altro giustiziere "urbano", una donna stavolta, la Donna Ragno originale, Jessica Drew, completamente ripensata e rilanciata. E chi come me ricorda le sue storie a San Francisco scritte da Chris Claremont e disegnate da Steve Laialoha, questo ciclo della letale e misteriosa eroina ragnesca fa semplicemente venire i brividi addosso...

Noir, intensa, dannata, ricorda Alias (sempre Bendis, sempre una
donna), ma è Spider-Woman. Non proprio la sola e unica, ma
Spider-Woman. L'originale.





04 marzo 2010

The house and the storm (and today's paper)


the house and the storm
Inserito originariamente da enrix_64 (off/on)
E’ un po’ che non leggo il giornale.
In un mondo ideale mi piacerebbe trovarlo sullo zerbino della porta di casa la mattina, fresco di stampa, ma siccome vivo nella grassa Bologna dove pochissime edicole si degnano di fare questo servizio di consegna, questo è un lusso impossibile, e quindi poi esco di casa, vado al lavoro, ne esco alla sera, e finisce che non ho modo di comprarlo, e alla fine mi accontento di sbirciarlo al bar o su internet. Così, quando un viaggio in aereo o in treno mi consente di avere due ore di tranquillità, e mi inoltro nelle pagine di Repubblica o del Corriere, e mi ritrovo in una selva oscura. O meglio, su una spiaggia. Con davanti un’onda anomala. O uno tsunami. Di merda.
Una cosa è leggere e seguire le notizie ogni giorno, altra è staccare la spina e poi ricollegarsi e scoprire in pochi minuti che

1) la Protezione Civile è sepolta da uno scandalo senza precedenti (e peraltro invece che gestire terremoti, frane e incendi, organizzava misteriosamente anche tornei ed eventi di vario genere, proteggendo chi da cosa, mi chiedo…), uno scandalo dove denaro mazzette e corruzione si sposano al mercimonio sessuale di minima lega (con tanto di prostituzione maschile collegata, ohibo, al Vaticano e al giro dei seminaristi e romani).

2) La campagna elettorale per le regionali è in pieno svolgimento, ma la destra (che vorrebbe gestire il paese) non è nemmeno stata capace di gestire la raccolta delle firme nelle due principali regioni italiche. E non parliamo dei candidati della PdL in Lombardia, dove, cito verbatim, compaiono “l’igienista dentale del Cavaliere, già ballerina a Colorado Café, il fisioterapista del Milan, il geometra di Arcore”).

3) Il Senatore Di Girolamo va in galera – simpaticamente - per accuse di riciclaggio e collusione con la ‘ndrangheta e la destra in parlamento lo applaude “solidale” (solidale per cosa? Per il riciclaggio o per la collusione con la malavita organizzata?)

4) Il parlamento fa passare une legge che aggira l’articolo 18, mentre sugli immigrati – sotto silenzio – si applica a macchia di leopardo una direttiva “segreta” che invita a espellere coloro che chiedono la sanatoria, sa hanno un’espulsione alle spalle (dal momento che la “mancata obbedienza all’espulsione” è un “reato grave” per cui è previsto l’arresto, a differenza di altri reati…). Quindi chi si vuole regolarizzare, si mette in gabbia da solo, ma solamente in alcune città, in altre no (un terno al lotto?)

5) Per la “par condicio” si aboliscono i “talk show” per un mese. Senza esclusioni. Come per dire, nell’impossibilità di far parlare tutti alle stesse condizioni, non facciamo parlare nessuno. E questa, non so a voi, mi pare tra tutte una delle cose più inqualificabilmente ingiuste (vogliamo dirlo? Una bastardata?).

E poi non parliamo delle armi all’Iran, e di quello che si legge nelle pagine più interne e di quello che è avvenuto nelle scorse settimane e che non trova spazio in Repubblica oggi, seppellito dalle emergenze del 4 marzo 2010.

Come ho scritto mesi fa, siamo nel tunnel. Siamo in un buio così pesto che non vediamo neppure la luce all’altro estremo. Perché forse non c’è fine. Forse resteremo per sempre in una democrazia menomata, manipolata, dove vige la legge del più furbo, dove la legge “vera” si aggira e si corrompe, e dove una bugia, ripetuta, diventa la verità (ah dimenticavo, il signor Mills “assolto”… in quanti su 60 milioni di italiani capiscono o sanno cosa è successo davvero? O credono alle parole delle veline del TG1?).

Nel tunnel. Un tunnel che ci siamo scelti, peraltro. E in cui alla fin fine diciamo, esplicitamente o per stanchezza o per connivenza “hic manebimus optime”.

23 febbraio 2010

Days of miracle and wonder


Peter Gabriel
Inserito originariamente da Marcoz aka marchio77

Sono stupefatto dall'ultimo album di Peter Gabriel, Scratch my back. Non posso e non voglio analizzarlo musicalmente. Esula delle mie capacità e - decisamente - dalle mie intenzioni. Ma mettetelo su. Mettetelo in continuous playing. E ascoltate.

Ascoltate con il cuore, con il profondo, oltre l'udito. Ascoltate. A volte sono canzoni conosciute, altre sconosciute, ma definirle cover sarebbe un insulto.

La mia preferita, The Boy in te Bubble, viene da Peter Simon, ma PG la trasforma, la trasfigura. Con la sua voce e il suo arrangiamento, acquista uno spessore, una grana, completamente nuova. Nell'ascolto si finisce in un altrove, in un luogo di luce cangiante e nera, nei giorni dei miracoli e della meraviglia, dei bambini del cuore di babbuino, dei bambini nella bolla, dai segnali in staccato di informazione costante. La canzone è come un'immersione nella lava fusa, in un calore sonoro che ti avvolge e ti tiene li', sospeso. Nella musica.

These are the days of miracle and wonder,
This is the long distance call,
The way the camera follows us in slo-mo
The way we look to us all o-yeah,
The way we look to a distant constellation
That's dying in a corner of the sky,
These are the days of miracle and wonder
And don't cry baby don't cry
Don't cry

Oltre l'ombra sul cuore


An angel over Bologna
Inserito originariamente da Marco40134

Ho visto un angelo su Bologna. Si stagliava sul cielo, che diventava il cielo di un pomeriggio d'inverno troppo primaverile per il cuore. Si stagliava su via Indipendenza, nero nel controluce, e dispensava dall'alto la sua benedizione e il suo amore e i suoi incantesimi, sulla città bella e inconsapevole. Un angelo su Bologna. Un angelo su tutti noi.
L'angelo del destino e dell'amore, l'angelo che impietosamente e miracolosamente ci tocca con la sua ala, e allevia il dolore del cuore, e ci percorre e ci sorvola. Oggi, e in questa ora, e in questa notte, e sotto questa ombra del cuore.
Un angelo.

12 febbraio 2010

La linea di confine



Lost6 

 


Siamo a febbraio e solamente al terzo post. Vedo che ogni
promessa e premessa di scriver maggiormente va disattesa. Sono forse troppo
occupato (lavoro a parte, frenetico come non mai) sostanzialmente dalla vita:
parlare, connettersi, viaggiare, spostarsi, mangiare, ridere, piangere, vivere.
E’ come essersi immerso in un fiume, cambiato le regole, alterata la gravità,
fatto un salto quantico, deviata la traiettoria durante un salto nel vuoto.



 



Siamo a febbraio ed è ripreso LOST. Stavolta FOX fa la brava
e lo mette in onda, in HD, a soli otto giorni dalla trasmissione in USA. Ero
tentato di aspettare, ma poi ho ceduto e mi sono visti i primi due episodi in
download, se non altro per paura degli spoiler che sarebbero potuti arrivare
dalla rete o dagli amici e colleghi.



 



Ma la verità è che… forse questa serie non è suscettibile di
spoiler. O meglio. Uno spoiler sì, si potrebbe fare.



 



 



 



 



 



 



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



SPOILER



 



 



In questa serie dopo i flashback e i flashforward ci sono i
flashsideways. Esatto. I what if. i “cosa sarebbe successo se” che i lettori
marvelliani conoscono bene.



 



Cosa sarebbe successo se nel 1977 Juliet fosse riuscita a
far esplodere una bomba nelle profondità dell’isola? L’isola sarebbe
sprofondata, e si sarebbe creata una realtà parallela. In cui il volo 815 della
Oceanic non sarebbe caduto, e in cui Jack, Sawyer e compagnia avrebbero seguito
il loro destino arrivati a Los Angeles, senza finire in pasto agli Altri, agli
orsi polari e al Mostro di Fumo.



 



E nella sesta stagione di Lost, almeno finora, la storia
prosegue in parallelo, un po’ nel “nostro” mondo, con Jack e compagnia
scaraventati di nuovo nel presente dopo l’incursione nel 1977, e un po’ nel
mondo “senza disastro aereo”. In cui speriamo comunque di avere alcune delle
risposte che ancora ci mancano e che da qui all’indispensabile finale della
serie ci aspettiamo di avere.



 



Nelle prime due puntate, la sensazione che si ha delle due
realtà è particolarmente estraniante, ma si intuisce che una della due farà da
contrappunto all’altra. E che scoprendo “cosa sarebbe successo se”, scopriremo
qualcosa di cruciale, ogni volta, sui nostri perduti sopravvissuti….



30 gennaio 2010

On the way back


Mur peint
Inserito originariamente da nadou6
Torno da Angouleme. Poche righe ancora in viaggio per fissare le idee: salone bello come sempre, ma meno gente. in misura avvertibile. Crisi momentanea oppure inizio di un declino? Effetto della crisi? Vero è che i dati del 2009 vedono il mercato del fumetto francese in un momento di equilibrio, con una minima oscillazione rispetto all'anno precedente (e in cui Panini ha avuto una crescita a due cifre, sorprendentemente). Ma ad Angouleme, nel Poitu Charente, ci sono venute meno persone, e si girava bene nei magnifici stand, c'era da sedere al ristorante, e i bus che portavano agli hotel in periferia erano semivuoti.

E sotto un cielo bianco che a un certo punto si è aperto d'azzurro, sotto la pioggia o contro il vento, per la diciottesima volta ho percorsop le strade e le piazze in compagnia di ragazzini volanti, cavalieri templari, pellegrini degli inferi, alla ricerca del fumetto perfetto, o anche solo di un buon fumetto made in France da leggere e da pubblicare. O di un nuovo fumetto europeo da creare.

27 gennaio 2010

Delbono e di Bologna


Snow over Bologna west
Inserito originariamente da Marco40134
Sono due giorni che leggo di Delbono, della Cracchi, della mia città, del Cinzia-gate, cercando di radunare i pensieri e farmi un’opinione non superficiale su quanto accaduto a Bologna questa settimana. Leggo giornali, blog, status di Facebook in cui giornalisti e lettori si accaniscono pro o contro, e alla fine la sensazione di sconcerto, di vuoto, di confusione, permane. Ne parlo con mia madre, che è stata seduta in consiglio comunale dal 1964 al 1969, con il sindaco Dozza, e ha partorito sia me sia mio fratello in quegli anni, rendendo simbolicamente anche noi parte reale di quella mitologica gestione cittadina. Ma anche lei, che sarebbe (se non fosse per l’età) il candidato perfetto come sindaco di Bologna, non sa cosa dirmi. Lei, che conosce tutti e tutto di questa città e delle stratificazioni sociali, politiche e di potere che la governano “de facto”, non ha parole, salvo dire “Scrivi che il prossimo sindaco dovrebbe essere una donna”. Già, una donna.
Questa storia dice molto delle donne e degli uomini. Dei rapporti di potere che si mescolano con quelli d’amore. Questa storia dice di lealtà e slealtà, silenzio e parole, verità e bugie. Dice di un uomo di potere che mescola una relazione amorosa con una di lavoro, e poi falsifica (probabilmente) le note spese dei suoi viaggi con lei, contravvenendo a due regole base che qualsiasi dirigente degno di questo nome dovrebbe conoscere alla perfezione: non si va a letto (Mai! Mai! Mai!) con una persona direttamente subordinata, e nelle note spesa si deve rendere conto di ogni centesimo. E non per moralismo, quanto perché il primo comportamento sovverte sia l’equilibrio affettivo e relazionale, sia la corretta funzionalità gerarchica, mentre il secondo rende vulnerabili, in caso di un controllo, alla perdita del lavoro (e se un’azienda vuole licenziare un dirigente – un atto sempre possibile, ma a carissimo prezzo - la prima cosa che fa è passare al setaccio le note spese, alla ricerca di abusi che possano giustificare una rinegoziazione dell’indennità di licenziamento).
E quindi cosa dice questa storia di Delbono? Che era sicuramente un bravo dirigente, un amministratore della regione che è riuscito a portare in cassa somme importanti come finanziamenti, un sindaco che si è in pochi mesi distinto per la voglia di fare qualcosa di serio dopo il quinquennio di letargo cofferatiano, ma che come uomo, come persona, aveva zone d’ombra molto profonde e torbide, se si è lasciato invischiare in un mix indistinto di gerarchia e sesso, di potere e piccoli abusi da 400 euro, a colpi di bancomat, senza riuscire in tanti anni a trasformare una relazione evidentemente importante in un amore da vivere alla luce del sole, senza i lacci, i segreti, i sotterfugi, gli abusi che hanno finito per colorare di giudiziario un comportamento privato, costringendolo alle dimissioni.
E forse nelle dimissioni rapide Delbono ha recuperato qualcosa, ha dato uno schiaffo morale, ha messo la città davanti a tutto (anche se mi resta il dubbio del perché ha accettato di candidarsi, sapendo di avere tanti scheletri nell’armadio: pensava forse, in una società mediatizzata come questa, in cui ogni battito di ciglia viene teletrasmesso in diretta, di poter sfuggire alla verità o – ancora peggio – alla versione distorta della verità che nasce dal pettegolezzo e dal chiacchiericcio?).
Quanto a Cracchi, che dire? Forse su di lei i giudizi sono più difficili da dare. Vittima di un uomo di potere che ne ha fatto il suo giocattolo e l’ha poi scaricata sia sentimentalmente sia professionalmente quando la passione si è affievolita? Oppure donna opportunista che è stata al gioco finché poteva guadagnare, e poi alla fine si è vendicata nel modo più duro?
Forse la risposta è entrambe le cose. La risposta sta nel tirare in ballo un concetto che siamo sempre pronti a dimenticare: che tutto, tutto, tutto, tutto quello che ci succede è nostra responsabilità, o alla peggio co-responsabilità. Che quindi possiamo ballare con il potere, e lasciarci bruciare dalla sua crudeltà, ma siamo entrati nella danza coscienti di a cosa andavamo incontro. Possiamo stare in una relazione segreta e forse avvilente, ma coscienti che esistono due parole alternative, “sì” e “no”, e ogni volta che usiamo l’una o l’altra senza avere una pistola alla tempia stiamo esercitando la nostra personale responsabilità. Possiamo decidere di vendicarci dell’uomo che ci ha tradite, ma sapendo quale prezzo pagheremo. Possiamo accettare del denaro, ma accettandolo saremo corrotti quanto il corruttore. E così via. E questo vale sempre. Per tutti. In questo caso per Cracchi. E per Delbono.
E infine Bologna. La città e il futuro. Perché questa storia apre un futuro incerto, in cui una città che aveva ricominciato a macinare progetti dopo un’amministrazione letargica di cinque anni, si ritrova senza giunta e senza un sindaco possibile.
La mia speranza è che NON si voti con le regionali a fine marzo, ma che si deroghi alla legge che non permette due elezioni nello stesso anno, andando ad eleggere il sindaco a maggio. La mia speranza è che ci siano delle primarie vere, in cui senza tatticismi di partito si cimentino le forze migliori della sinistra bolognese. Senza candidati paracadutati. Senza ricicloni. Senza soluzioni di ripiego.
E magari il prossimo sindaco sarà una donna. Magari giovane. E magari avrà un bambino durante il suo mandato. Sarebbe bellissimo.

19 gennaio 2010

In absentia

Il segnale più inquietante della "crisi" dei blog è forse questo... che la stessa Typepad, l'azienda che gestisce il software di blogging di Nova100, ha inserito nella maschera di avvio una "composizione rapida" che sembra l'interfaccia di Facebook o di Twitter. E in effetti i social network, con i loro mini post immediatamente scrivibili, anche via cellulare, e immediatamente commentabili, rappresentano una evoluzione e una generalizzazione del blog... a tal punto che oltre ai blogger tradizionali che scrivono per un aggregatore come Nova o hanno un blog su Blogger o Typepad, ci sono oggi i blogger "unofficial" di Facebook che scrivono "note" che altro non sono se non pezzi, articoli, racconti, blog senza l'uso del termine blog.

Tutto questo un po' per spiegare la mia assenza da queste colonne, non tanto per impegni di lavoro, quanto perché in effetti i due-tre "status update" che faccio sono circa 7.000 caratteri settimanali, una sorta di blog continuato, in tempo reale.

Ma di idee per questo blog ne ho... stay tuned...



[Titolo]



05 gennaio 2010

Esplorando


The sky above Berlin
Inserito originariamente da Marco40134

A latere sui racconti di viaggi. A latere sui post che parlano di emozioni e percorsi interiori. Un brano di TS Eliot che mi è arrivato per caso.
E che ho provato umilmente a tradurre.

We shall not cease from exploration
And the end of all our exploring
Will be to arrive where we started
And know the place for the first time.
Through the unknown, unremembered gate
When the last of earth left to discover
Is that which was the beginning;
At the source of the longest river
The voice of the hidden waterfall
And the children in the apple-tree
Not known, because not looked for
But heard, half-heard, in the stillness
Between two waves of the sea.
Quick now, here, now, always—
A condition of complete simplicity
(Costing not less than everything)
And all shall be well and
All manner of thing shall be well
When the tongues of flame are in-folded
Into the crowned knot of fire
And the fire and the rose are one.



Noi mai smetteremo di esplorare
E alla fine di ogni esplorazione
Arriveremo da dove siam partiti
E conosceremo quel luogo per la prima volta.
Attraverso il portale sconosciuto e senza memoria
Quando l’ultimo lembo di terra
Che ci resti da scoprire
Sarà ciò che era in principio;
alla sorgente del fiume più lungo,
la voce della cascata nascosta
e i bambini sull’albero di mele
sconosciuti, perché mai cercati,
ma uditi, a malapena, nella quiete
tra due onde del mare.
Svelto, ora, qui, ora, sempre-
Una condizione di completa semplicità
(che costa non meno di ogni cosa)
E tutto andrà bene
E ogni genere di cosa andrà bene
Quando le lingue di fiamma si incurveranno
Nel nodo di fuoco a corona
E il fuoco e la rosa saranno
Una cosa sola.

Cartoline dal Giappone, 2009


Nikko
Inserito originariamente da Marco40134

Ogni storia inizia e finisce con un viaggio, con un andare da un punto A a un punto B e così facendo trasformarsi, traversare le acque, solcare i cieli, vedere il mondo da sopra le nuvole, sotto un altro cielo. Ecco. Anche quest'anno, prima di Natale, sono andato in Giappone, per incontrare gli editori nipponici di fumetti, che concedono al mio editore i diritti per un centinaio di serie manga. Ma anche questo viaggio è stato un momento di trasformazione, di passaggio. Dal punto A al punto B. Soprattutto se i viaggi sono lunghi, una settimana o oltre, non solo stare lontani, in altri contesti, con altra aria, altro cibo, altra gente, ci cambia inesorabilmente, ma anche quello che abbiamo lasciato si evolve: la sofferenza può aumentare o essere lenita, situazioni emozionali di ogni tipo possono nascere o finire , e si crea quindi la realtà parallela di quello che si fa lontano, a Tokyo o Los Angeles, e a quello che fanno a casa gli altri protagonisti della nostra vita.
E con il fuso di mezzo, l'estraneamento diventa assoluto. Ci si risveglia per salutare l'Italia che va a letto, e quando l'Italia si desta, sono per noi le due o le tre del pomeriggio, con i messaggi che si incrociano e il senso del tempo che si perde.

I momenti del viaggio sono stati per certi versi un replay degli anni passati: incontri di rappresentanza o meno con i vari publisher del sol levante, la discussione di titoli da fare, di promozioni da sviluppare, di formati da decidere (e – credeteci – non sono argomenti accademici se pensate che per un Giapponese l'unico modello di affari in editoria è quello loro, e che ogni nostra versione o adattamento viene vista con sospetto se non con ostilità). Tocca quindi spiegare per ore quali motivazioni ci sono dietro ogni richiesta o idea che viene dalla nostra rutilante redazione, solo per sentirsi dire che "non si può fare" dal momento che quel che non esiste nella terra del sol levante non può esistere altrove...


Ci vorrebbe un mediatore culturale a volte per spiegare che cose che in una libreria di Tokyo sono normali diventano infattibili da noi, e viceversa. Invece non ci tocca questa fortuna e ogni incontro è un sottile mix di frustrazione e di diplomazia, di creatività e adattamento. E' un po come dirigere un'orchestra stando in una cabina del telefono, o correre i cento metri con un cappotto addosso.. Si può fare ma immaginate come sarebbe se i lacci e i lacciuoli fossero tolti e si potesse sbizzarrire la fantasia nella riproposizione e nella promozione dei manga...


A latere del viaggio, per la prima vota dopo molti anni, mi sono fermato un giorno in più per esplorare il Giappone e conoscere la sua anima rurale e antica. Così mi sono ritrovato su una specie di littorina che una stazione alla volta mi ha portato a Nikko, nel cuore delle montagne, dell'antica Edo, tra campi innevati e fiumi gelidi, templi secolari con ogni possibile incarnazione del Buddah, e le tre famose scimmiette che non vedono, non parlano, non sentono. E qui sono restato poche ore, lontanissimo da tutto eppure comunque immerso nel mondo, a percorrere sentieri innevati protetti da schiere di buddah incapucciati, o bagnandomi di notte nelle acque bollenti di un onsen all’aperto, sotto un cielo gelido e pieno di stelle, alla ricerca di una luna che non c’era e non c’è.