14 dicembre 2009

Cartoline da Berlino.


TV tower
Inserito originariamente da Marco40134

A Berlino ci sono stato nel 1987. Poi anche nel 1993 e 1994 ma non contano, la volta che ha definito tutto è stata la prima: la città divisa, la mia summer of love, la temperatura tiepida, i bagni nei laghi, prendere il sole nudi al Tiergarten, la visita all'est e la breve immersione nell'universo sovietico, nel grigiore del cemento dell'acciaio e degli addii tra gli amanti divisi dal muro alla sera, alla partenza dell'ultimo metrò.
E tornarci adesso 22 anni dopo, metà della mia vita dopo, è stato come un viaggio iniziatico, per così dire, come andare a scoprire una città che in questo tempo si è completamente reinventata e riunificata, ma che conserva ancora i passi del suo passato, le orme di cio' che fu mescolate caleidoscopicamente con il presente e il futuro. Una metafora forse di me stesso, e quindi viaggio di scoperta non solo esterna ma anche interna.
A Berlino ci si trova o si ritrova, è una città-esperienza, più gestibile di Londra, meno impervia di Parigi.
A chi ricorda la Berlino col muro, questa Berlino aperta e globale dà un po’ di smarrimento, come se fosse tutto finalmente esploso e aperto, come se una seconda città si fosse materializzata al fianco di quella che si ricorda, integrandola e completandola. E adesso la sensazione è di qualcosa di omogeneo, e gigante. C’è un fiume, la Sprea, che prima quasi non si vedeva, e Unter den Linden è diventato il doppione dello shopping rispetto al Kudamm. Ci sono nuovi quartieri, e palazzi, e il tutto è vivo e vibrante e respira, collettivamente, architettonicamente, ed è un respiro ampio, speranzoso, profondo. La cicatrice del muro ancora si vede, ma bisogna cercarla guardando per terra. Se non lo si fa, è tutto unito, si è “chiusa una gestalt”, tra l’Europa dell’est e quella dell’ovest, ed è la nuova Europa del XXI secolo quella che qui si incontra, si mischia, si unisce.
A Berlino si partecipa al No-B day, qualche centinaio di persone al gelo davanti alla Porta di Brandeburgo, e a Berlino ci si perde nel memoriale dell’Olocausto, questa foresta di cubi di cemento che la pioggia ha bagnato e in cui sembra di sprofondare, di inabissarsi, nella pagina più dura e impietosa della Storia.
A Berlino si va alle terme, al Liquidrom (ma ci sono anche quelli sulla Sprea a pochi minuti), e si sta immersi nell’acqua calda a sentire la musica, in galleggiamento, come tornando in un utero materno, o se ne sta fuori sempre nell’acqua calda, a sentire la pioggia leggera che cade sul viso, e la notte nerissima sopra, nera nonostante l’albedo, nera e invernale e che sembra parlare e dire
A Berlino si gira, in metro, in tram, in autobus, a piedi, in taxi, ci si muove da un quartiere all’altro, da un’esperienza all’altra. Si balla, a Berlino, a qualsiasi ora, e ci si fa entrare il ritmo dentro immersi in una fauna umana variegata e caleidoscopica. A Berlino si mangia – colazioni enormi alla tedesca, giapponese, tailandese, turco, wiener shinizel, si beve – birra e non solo -, ci si commuove a una mostra di Nan Goldin o andando a ritrovare esattamente la stessa casa, esattamente lo stesso indirizzo, di quell’agosto del 1987 con i ventidueanni estivi, e l’ombra di me che ancora cammina per quelle strade e sogna altri sogni ormai dimenticati, eppure sempre uguali a se stessi, sempre vividi, sempre vivi.


02 dicembre 2009

Resistenza. E amore.

Alessio

Ho scoperto Alessio Lega per puro caso, e potete scoprirlo anche voi, sul suo sito, dal quale è possibile scaricare nella sua interezza e gratuitamente l'album Resistenza e amore, uno degli ascolti più forti degli ultimi anni. Con voce che entra dentro la pelle immediatamente, con una scelta lessicale e lirica così potente da far drizzare i peli sulle braccia Alessio canta - come dice il titolo - di resistenza e di amore, fondendo queste due forze primordiali dell'uomo e riportandoci alla loro verità. Alessio canta di tunnel che si aprono su Genova, e del riconquistare la città, parla dello straniero che è in noi e fuori di noi, e che vuole prendere "il largo verso altrove, dove non seppellisci i sogni, dove non inghiottisci odio, e arrivi a odiare i tuoi bisogni". E l'amore che c'è e ci sarà lo senti nella forza delle parole più che nelle immagini evocate, lo senti in come sono cantate le strofe, nei sotterranei del lessico, nell'intercapedine dello spartito.

In queste canzoni c'è il genio delle parole, il guizzo di un'immaginazione eversivamente mai sopita, un anelito di amore senza confini o filtri. Sono canzoni da ascoltare mentre si mangia la strada, mentre si divorano le nuvole, le montagne, i fiumi, le città, mentre si va altrove, o in ogni posto. 

Insomma, ascoltatele una volta, o due, e saranno le vostre canzoni. Garantito.




30 novembre 2009

Quando sorge la terra

Nova011 Quando sorge la terra, oltre
l’orizzonte lunare, e l’aria di Attilan sembra quasi cambiare spessore e
prendere un tocco del verde e del turchese del pianeta da cui proviene, mi alzo
dal letto in cui ho dormito un sonno senza sogni, e percorro nudo la stanza,
verso la teca di vetro che contiene il mio costume da centurione Nova Primo. Il
mio corpo è quello giovane e leggero di Richard Rider. Non ci sono specchi, ma
ormai lo conosco, so la forma delle dita, il peso del respiro, come sono i suoi
piedi, i muscoli delle sue gambe, sento la sua lingua in una bocca che non è la
mia. Il mio corpo è quello di Richard Rider, ma la mente è quella di Marco M.
Lupoi, anno di nascita 1965. Età corrente: 22 anni. Età cumulativa delle cinque
clonazioni: 244. Due secoli fa, matematico, e poi editore di fumetti, e poi
viaggiatore, scrittore, psicoterapeuta, cuoco, contadino, resistente,
pellegrino, invisibile, reietto, vittima, carnefice, scomparso, ritrovato,
padre, figlio, amante, marito, e ancora scrittore, ideatore, forgiatore, di
quello che sto vivendo adesso. Qui e ora.


  

Un qui che non è un luogo, ma la matrice del sogno, uno dei
Dream Weavers che in ogni città del pianeta permettono il salto dalla realtà al
Piano Tangente, all’iper-virtualità in cui ogni film, videogame, romanzo,
libro, fumetto, storia di secoli di narrazione si fonde, e in cui – pagando,
s’intende – possiamo ESSERE Nova Primo o Batman o Alice o Jonathan Fox o il
Genio delle Ombre o Alessandro Magno, esserlo nella carne nelle sensazioni, e
sperimentare tutto, vivere tutto. Pagando, s’intende…

Perché anche nella Tangente sopravvivono le caste, le
piramidi sociali. Ci sono i pariah, quelli della classe sub proletaria
dell’immaginario, che per pochi crediti fanno il salto per assistere alla
Guerra Kree-Skrull o all’Invasione Segreta o alla caduta di  Troia, e ci entrano come pedine, come
comparse, gente tra la folla, soldati nella schiera, assistendo a tutto ma
impossibilitati a interagire, meri spettatori, che sentono la pioggia che cade,
o il freddo del vento, ma sono come passeggeri in un corpo non loro, incantati
da quello che vedono, o atterriti.



A un livello intermedio, si può entrare nel corpo di uno dei
protagonisti, ma sempre come passeggero. Sentire il corpo di Ben Grimm,
respirare come lui, colpire ed essere colpito, o viaggiare nello spazio,
sventrare ed essere sventrato in una battaglia alla baionetta di titanio sui
bastioni di Orione. Ma sempre senza poter agire. Un cinema sperimentale, dove
il massimo terrore e la massima estasi sono richieste e accordate.



Infine, per chi nella matrice della Tangente ci è sempre
stato, per chi l’ha creata, con i suoi ricordi e con le idee e le fantasie di
ere con più sogni e più illusioni, o per chi ha può permettersi un canone di
100.000 crediti/mese, esiste l’Accesso Illimitato. In cui diventi Richard Rider
o Harry Potter o Wally West, e voli nel cosmo, manipoli la magia, o corri più
veloce della luce, e puoi interagire, vivere, amare, senza alcun limite, in uno
spazio tangente dove il virtuale è reale, e ogni ferita, ogni colpo, ogni
boccone che mangi, ogni orgasmo, sono veri, sperimentati, una vita più vera del
vero.



Una vita in cui adesso sono Nova Primo, centurione di
Xandar, amante di Gamora, la più letale assassina dell’universo, e di Peter
Quill, alias Starlord (che credo essere rispettivamente un programmatore di
Texarcana, e una sedicenne ragazzina genio di Kuala Lumpur, ma ha poca
importanza). Nova Primo che esce sul balcone del terrazzo del suo appartamento,
nella reggia di Freccia Nera su Attilan, nella zona blu della luna, e prende
l’ultima boccata di aria, questa aria sintetica che nell’ipervirtualità è più
metallica di quella che respirerei sulla terra. Poi afferra l’elmetto, lo
calza, sente il ronzio che annuncia la partenza del respiratore, sente la sua
pelle quasi fondersi con la fibra del costume, diventare come d’acciaio, e si
stacca e vola ed è in pochi istanti fuori dall’atmosfera di Attilan, con il
vuoto assoluto dello spazio che lo avviluppa, e la temperature impossibile che
a malapena la tuta riesce a sopportare, e davanti a lui le navi della flotta
Kree, pronte alla guerra, con gli Shi’ar 
e gli Skrull in lontananza, in orbita attorno a Marte, e la battaglia
che sta per iniziare.



Quassù, nello Spazio Tangente, a 200 anni dall’era dei
fumetti, della vita di carta che era anche mia, e che ora sembra così lontana,
con la sua stampa a quattro colori, l’odore dell’inchiostro… e la nostalgia che
mi prende un po’, quasi lieve, quasi impercettibile, e che ricaccio indietro
mentre trattengo il fiato e volo in avanti, volo verso Marte, volo via.









 





04 novembre 2009

Chi possiede Lucca?

Una scritta sul muro, nella notte, illuminata dalle luci al neon del centro della città. Chi possiede Lucca? La risposta è semplice: in questo ritaglio d'autunno tra ottobre e novembre, un po' Halloween e un po' Estate Indiana in ritardo, la città appartiene alla gente. Scema a frotte, a gruppi, decine di migliaia. In pochi si fermano a dormire, ne manca - semplicemente - lo spazio. Vengono dalla mattina alla sera, una scampagnata nel paese dei balocchi, in quello delle meraviglie, in un luna park. Ormai, alla quarta edizione restituita alla città, con le tensostrutture sparse nelle piazze, LuccaComics ha ormai un suo rituale: gli stand degli editori grandi e piccoli (ci sono tutti, tuttissimi, impensabile non esser presenti), i cosplayer che danno spettacolo e si fanno fotografare a ogni angolo, 140.000 persone che si snodano tra vie e vicoli e mura e cortili, e che si divertono, guardano, e soprattutto COMPRANO fumetti. Rispetto alle fiere che conosco, Barcellona o Angouleme o le altre fiere, a Lucca si va per acquistare: rarità e novità, albi da far autografare o da portarsi a casa. E' bello stare allo stand e notare i mix incredibili che fanno i lettori, e magari prendono gli X-Men assieme al manga per ragazzine, o il Punitore a fianco del fumetto giapponese più "kawaii".

Il mercato del fumetto, nonostante la crisi generale, continua a essere tonico: qualcosa si è perduto per strada, ma gli eroi di sempre continuano a essere una certezza, qualcosa di bello e collezionabile a un prezzo relativamente contenuto. Magari prendere una nuova giacca a vento è un sacrificio, ma l'ultimo Spider-Man o Rat-man o Dylan Dog è un piccolo pezzettino di paradiso che si prende a pochi euro, un arrimo felice, una fettina di quotidiano intrattenimento. Quindi a Lucca ci si va ancora, il tempo è bello, sono gli ultimi giorni dell'estate che si insinua nell'autunno, i colori degli alberi sono verde e oro, le mura avvolgono la città ma si possono superare, valicare, fingere di essere in un medioevo contemporaneo, e ritrovarci Nausicaa e il Comandante Mark, One Piece e il Commissario Spada, e così, per qualche ora o un paio di giorni, respirare, sorridere, vivere...



[Titolo]



29 ottobre 2009

In trans

Posso dire due paroline sul caso Marrazzo? Fuori dal coro, se possibile...

Posso dire che la sessualità, nel suo mistero, nella sua profonda, assoluta, rivelazione del sé, è davvero il cuore sacro dell'umanità?  E se una persona vuole esprimere la sua carnalità, la sua sessualità, con una donna dai capelli biondi o un uomo con la barba rossa, tre nani o una squadra di rugby o di nuoto sincronizzato, la vicina di casa o l'amico d'infanzia, o anche con un trans dalle forme robuste e dal corpo quasi infinito, può farlo come e quando vuole, senza che nessuno abbia il diritto di puntare il dito o di lanciare una crociata perbenista.

Il caso Marrazzo indigna al pensiero che le forze dell'ordine si dedichino all'estorsione e alla truffa, anziché a combatterle. Indigna nel vedere la violazione della privacy, lo schiacciamento della dignità di una persona, prima ricattata, poi violata.

Indigna nel vedere quanto può essere ingenuo un politico come Marrazzo, che si illude di non finire nel tritacarne dei media, di potere muoversi come un privato cittadino e non come una personalità politica, possibile vittima di estorsioni e ricatti. Indignano i suoi tentativi di copertura. Le sue menzogne. Il suo non capire che esporsi a possibili ricatti e truffe danneggia sia lui sia il ruolo che ricopre. Il suo non opporsi subito a un ricatto e l'aspettare mesi, nell'assurda speranza che la cosa si spegnessi.

Ma non mi indigna - e in fondo non mi interessa - il fatto che frequentasse transessuali. Se non vivessimo in una società completamente omofoba o, forse, ancora peggio, ipocritamente sessuofoba, tutto questo aspetto non ci scandalizzerebbe più della presenza di Marrazzo a una festa di diciottenni, o in compagnia di qualche prosperosa escort platinata. E invece è proprio questo il chiodo finale della crocefissione, il colpo di grazia, il cum shot della vicenda. Che Piero amasse gli uomini nel corpo delle donne, o le donne dentro il corpo di un uomo, che fosse abitante di una zona di confine tra il maschile e il femminile che accompagna l'umanità fin dall'alba dei tempi ma che è destinato a rimanere un oscuro segreto, un marchio di vergogna, il segno dell'infamia, anziché l'espressione di un vero mistero, di un'epifania di un sé scisso tra l'uomo e la donna, tra il dare e il ricevere.



[Titolo]



20 maggio 2009

Finale di stagione (spoiler warning applies)

Se LOST stagione quinta si è congedato a maggio in USA, qua da noi ci vorrà un po' per vedere su Sky l'episodio 16/17,


SPOILER WARNING

SPOILER WARNING

SPOILER WARNING

SPOILER WARNING

SPOILER WARNING

SPOILER WARNING


che ancora una volta sconvolge le carte in tavola, rimette tutto in gioco, ci fa capire che non abbiamo, forse, capito nulla, o solo in parte, di quello che rappresenta l'isola, il suo destino, e quello delle persone che oggi e dall'inizio della storia, pare, ci finiscono sopra, per giocare un gioco celestiale. E la quinta stagione, che si conclude per la prima volta con un whiteout anziché un blackout, ci ha veramente portato in una nuova fase narrativa, usando il tema dei viaggi nel tempo col tutta la potenza emozionale che comporta rivivere il proprio destino, incontrarlo, nel bene o nel male, sia trovando un genitore perduto, o rivivendolo nella maniera più crudele.
Insomma, un finale al cardiopalma, che rielabora tutto quello visto finora, aprendo lo spazio ancora a un nuovo livello, come se ad ogni stagione si salisse un po' più su, a volo d'uccello, passando da un primo anno tutto concentrato sui protagonisti e il loro passato, passando poi all'esplorazione degli altri abitanti e luoghi dell'Isola, per poi affrontare il mondo esterno, il futuro, e poi un futuro ancora più avanti, e poi il passato, e adesso, chissà, magari le realtà parallele o i conflitti che da secoli vedono l'Isola come campo di battaglia.
La cosa più drammatica è che per la prima volta l'idea di COME si aprirà la sesta (e ultima) stagione di LOST è completamente imprevedibile. Potremmo tornare all'inizio della serie, subito dopo il primo incidente aereo, con la realtà "riscritta" dagli eventi di questa ultima puntata. Unico problema: come far ringiovanire gli attori e riportarli al loro look del 2004?
Oppure potremmo ritrovarci un minuto dopo la fine di "The Incident", con tutti i protagonisti che convergono in un unico punto dello spazio e del tempo, pronti per lo scontro finale tra le forze di Jacob e della sua oscura nemesi mutaforma.
A pelle, scommetto fortemente nella seconda ipotesi, anche se i creatori della serie ci hanno insegnato di essere imprevedibili, e una terza (o una quarta, o una quinta) possibilità sono assolutamente all'ordine delle cose.
Stay tuned, come si dice, anche se aspettare il gennaio 2010 sarà luuungo....

 

16 maggio 2009

Peppino

Il fumetto di "non fiction", quello giornalistico, ha trovato negli ultimi anni una casa tutta sua in Italia, l'editore Becco Giallo, piccola realtà produttiva del Veneto che si è specializzata in un formato/concept tutto suo: volumetti in bianco e nero di 112-144 pagine, dedicati alla biografia di persone famose o famigerate, o alla narrazione a fumetti di fatti di cronaca. Spesso si tratta di libri dalla grafica di copertina scarna, dalla narrazione dolorosa e schematica, intrisa della difficoltà dell'adattare al fumetto la narrazione di un evento, di un delitto, di uno degli orrori della storia contemporanea, permeato di dolore, di ineluttabilità, e quindi facile a cadere nel didattico o nel didascalico.
Il volume appena uscito, Peppino Impastato, di Rizzo e Bonaccorso, fin dalla copertina, elaborata, illustrata, colorata, vuole forse segnalare uno stacco dalla tradizione della casa editrice, e all'interno la storia del giornalista ucciso dalla Mafia si consuma in un toccante lirismo: rimane protesa tra il passato e il presente, altalenante su diversi piani temporali, uniti da un lirismo struggente, sia nel ricordare la vis polemica e creativa di Impastato, sia nel descriverne senza pudori il martirio, l'insabbiamento della giustizia, lo strazio della famiglia.
Rizzo si dimostra autore sensibile e disposto a mettersi in gioco, e i disegni di Bonaccorso, a volte minimalisti a volte aperte in suggestive "splash page" che donano ritmo al volume, sono decisamente un punto di forza.
Per chi ama il fumetto verità, o vuole scoprirlo, è sicuramente da acquistare.



13 maggio 2009

To boldly go, una recensione di STAR TREK

Sono un "trekkie" molto anomalo. Ho visto tutti gli episodi di Next Generation, uno per uno, uno al giorno su Italia Uno durante un memorabile "run" durato un annetto (lo chiamo ancora "my Star Trek year"). Ho visto tutto Deep Space Nine, e gran parte di Voyager. Ma non ho mai. Mai. Visto una puntata della serie classica, e a malapena conosco i nomi dei protagonisti del primo equipaggio dell'Enterprise.

Faccio questa premessa, prima di dire due cose due sul film STAR TREK di J.J.Abrams, non un remake della serie originale di Roddenberry, ma un "re imagining", un ripensamento, che lo rielabora visivamente, stilisticamente, narrativamente.

Organizzato come un "prequel", come un film che spiega cosa è successo a Cecov e compagnia subito dopo il varo dell'Enterprise, il film pare abbia fatto impazzire i Trekkie di mezzo mondo ma a me, onestamente, è parso solo un film divertente, due ore piacevoli, ma niente di particolare. La trama piena di buchi, un tentativo di ringiovanimento del cast a volte patetico (come per allontanarsi da una franchise percepita "vecchia" ci si è buttati su un cast di pseudoadolescenti alla High School Musical), e in generale un film che entusiasma poco. A me sono piaciuti gli scorci di spazio, la sensazione di uscire finalmente dall'atmosfera di "fiction da camera" delle serie TV, e ovviamente Uhura, alias Zoe Saldana, una delle migliori del cast, assieme a Zachary Quinto/Spock, ma poco tutto il resto. Peccato.



 



07 maggio 2009

Papi boom


star papi
Inserito originariamente da Tunguska.RDM

Non voglio infierire sulla questione Berlusconi-Lario-divorzio etc (il mio unico commento è stato che magari Silvio ne approfitterà per accorciare le tempistiche del divorzio da 3 anni a 3 mesi, beneficiando non solo se stesso ma tutta la società).

La cosa che più mi ha colpito nella confessione-sproloquio di Berlusconi a Porta a Porta, che in qualsiasi altro paese civile sarebbe inammissibile, è stata questa ricostruzione della famosa partecipazione alla festa di compleanno della sua giovane fan. "Avevo un'ora libera, sono andato alla festa di compleanno della figlia di una persona che conoscevo, che mi voleva parlare di due proposte di candidati"

L'idea incredibile è che un uomo come Berlusconi possa avere "un'ora libera". Parlo per me, che sono solo un normale lavoratore con una vita personale "standard": trovare "an hour to kill", un'ora da ammazzare, è un evento. Come può il primo ministro avere un "buco" nella sua scaletta... E SOPRATTUTTO ANDARLO A RIEMPIRE IN UNA FESTA DI COMPLEANNO DI UNA DICIOTTENNE.
A Napoli non ci sono ospedali da visitare, siti per i rifiuti da andare a vedere, magistrati che lottano contro la camorra da andare ad incoraggiare, lavoratori in cassa integrazione che hanno bisogno di risposte? E se proprio non si poteva fare nulla di tutto questo, non ci sono chiamate da fare, collaboratori da sentire? Con un paese messo come questo, un'ora del primo ministro andrebbe dedicata alla collettività, non al compleanno di una bionda diciottenne, di nome Noemi, simbolo di un'Italia superficiale, asservita al potere, acritica, e purtroppo, per ora, forse per generazioni a venire, assolutamente dominante.



06 maggio 2009

Una frase, un rigo


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Inserito originariamente da benno78

La lettera è arrivata per posta. Assieme alla bolletta del gas.
Non si riceve ormai più nulla di personale, che una lettera con la sua busta chiusa, il francobollo, l’indirizzo e il mittente scritti a mano, è qualcosa di quasi sconvolgente, una singolarità nel flusso della comunicazione quotidiana. Ma il nome l’ho riconosciuto subito. Claudia. La mia migliore amica. In prima e seconda elementare, circa 1972-1973.
Claudia da cui andavo a giocare quasi tutti i pomeriggio, con la quale genitori e maestra mi avevano messo in coppia, dal momento che io ero estroverso e lei timida, timidissima, e si pensava che mettere assieme due estremi avrebbe aiutato entrambi. Claudia. Una bambina magra con gli occhi e i capelli neri, a cui piacevano le bambole, la musica classica, la danza. Certo che me la ricordo, certo che mi ricordo quei pomeriggi, di un’altra epoca, un’altra vita, forse, ma ancora miei, ancora nostri.
E incredibilmente anche Claudia li ricorda, mi ricorda. E mi scrive. Una vera lettera, che mi commuove molto. Che parla di un passato che passato non è, e che miracolosamente vive ancora. Di due vite che si sono separate oltre trent'anni fa e procedono in parallelo, nella stessa città, senza mai toccarsi.
Con un unico filo che unisce lei a me. Un filo che passa da questo blog, che Claudia tutte le mattine controlla, per vedere se nella notte ho scritto qualcosa, se avrò parlato di qualcosa di nuovo, su di me, sui fumetti, sul cinema, o sull’altra faccia della luna, quella che non si vede mai dalla terra, ma che lassù, da qualche parte, inevitabilmente, c’è.

Claudia che ha un lavoro, su una torre che affaccia sulla tangenziale, sotto la quale passo ogni giorno andando a Modena, io sul mio binario, lei sul suo, due binari che si sono toccati, per poco, in quell'altro mondo di pomeriggi di bambole, soldatini e matite per colorare, e che oggi ancora si toccano, virtualmente, per posta e per interposta persona virtuale, quasi una metafora del cyberspazio che tutti ci connette, pur mantenendoci tutti nel nostro binario, nel nostro personale, intoccabile, universo.



30 aprile 2009

The best there is, una recensione di WOLVERINE

Wolverine è uno di quei personaggi Marvel che o si ama o si odia, ma che è ormai inestricabilmente legato nella mente mia e di tutti all'attore australiano Hugh Jackman. Di Jackman si è detto tutto, ma soprattutto che detiene forse il primato di attore più desiderato e desiderabile del pianeta, il tipo di uomo che le donne desiderano e gli uomini vorrebbero essere (o viceversa, spesso), capace di reggere con la sua sola prestanza fisica un intero film.

X-MEN LE ORIGINI: WOLVERINE, quarto film della Fox dedicato all'universo mutante ideato da Stan Lee, Roy Thomas, Chris Claremont e compagnia, è in tutto e per tutto un film Jackman-centrico, ma allo stesso tempo piacevolmente corale. Personaggi mutanti di ogni genere, da Ciclope e Blob (classe 1963) fino ai vari Deadpool, Gambit, Wraith, Sabretooth e Zero della generazione '90s, si avvicendano sullo schermo, in una storia che dal 1845 ci porta fino agli eventi che precedono il primo film degli X-MEN.

X-MEN LE ORIGINI: WOLVERINE risponde a molte domande, ponendone altre, si allontana dalle origini fumettistiche dei personaggi, per poi riavvicinarsi, e mescola il tutto, lo frulla quasi, con idee nuove, diversi colpi di scena che non ti aspetti, e una "hollywoodizzazione" (perdonatemi il neologismo) dell'epica di Wolverine a un tempo fedele alle idee dei fumetti ma anche profondamente revisionata e ripensata. E come sempre nei film Marvel di questo secolo, l'equilibrio tra quanto si lascia dei comics e quanto si modifica per creare un film di valore, sta tutto su un discrimine sottile, che a seconda dei punti di vista verrà considerato centrato oppure fallimentare.

Per me, tutto sommato, questa ricreazione del mito di Wolverine, della sua formazione, delle sue origini, della sua militanza in Weapon X, della sua amnesia, del suo rapporto con Sabretooth, è ben riuscita, è come una "versione movie" della continuity mutante, che già abbiamo visto modificata e modernizzata in ULTIMATE X-MEN, e che alla fine ha una sua logica e una sua bellezza anche in questa versione filmica.

Già, bellezza, perché a parte tutte le considerazioni da "Marvel fan" di cui sopra, il film X-MEN LE ORIGINI: WOLVERINE, si lascia vedere con piacere, è ricco di scene di combattimento perfettamente coreografate, di effetti speciali che hanno dell'incredibile, inseguimenti che non lasciano respirare, e lascia alla fine un buon sapore in bocca. Siamo dalle parti di film Marvel di buon livello, magari lontani da picchi come IRON MAN, ma decisamente nella fascia alta. Diciamo un film da "7+", da vedere decisamente, anche solo per rimanere impressionati dalla recitazione muscolare e allo stesso tempo incredibilmente "sensibile" di Jackman. Che prende pugli e pallottole, si butta giù da aerei ed elicotteri, ma rimane umano e fragile, con quello sguardo a volte indifeso, straziato, i capelli lunghi che non rimangono mai in piega e che accompagano i colpi, le botte, il sudore, e poi ovviamente il corpo perfetto, sanguinante, aperto, nudo anche quando è vestito, impossibilmente perfetto ma reale, simulacro di ogni umanità, di ogni dolore.






27 aprile 2009

Vedi Napoli e.

A Napoli non ci andavo dal 2003, da ben prima di iniziare questo blog o il precedente. E in questi sei anni il Comicon, la manifestazione sul mondo del fumetto della città campana, è cresciuta e maturata a tal punto da sfidare sul terreno più arduo gli altri grandi festival dei comics, non dico italiani, ma addirittura europei. Merito del direttore Claudio Curcio, che in undici edizioni ha saputo costruire un evento che ha le sue radici nella città, un sacco di sponsor, un programma di mostre e di ospiti con pochi rivali. Basta pensare che quest'anno (colore ufficiale: il giallo) erano sulla scena Leo Ortolani, Massimo Carnevale e Tanino Liberatore, tre maestri per certi versi lontanissimi, ma ben assortiti, oltre ad altri autori dal Portogallo e dalla Cina, e facevano bella mostra di sè in cima a Castel Sant'Elmo, in uno degli edifici adiacenti alla Piazza D'Armi. E alla sera a cena ho mangiato una serie di piatti minuscoli ma tutti inevitabilmente gialli, insieme a quei tre autori ma anche a Ivo Milazzo, Eduardo Risso, Alan David, Massimo Giacon, Paco Roca, e una fila inesauribile di autori di mezzo mondo, tutti uniti nella degustazione culinaria in zona Via Chiaia e nel godimento di una città unicamente ospitale.

I risultati si sono anche visti a livello commerciale, con un "tutto esaurito" il sabato, che ha causato la chiusura degli ingressi, come di rado avviene in eventi del genere.

A Napoli ci sono stato pochissimo, due notti e un giorno, giusto per vedere com'era diventato il Comicon, ma ho finito per perdermi in uno spazio e un tempo umani e di sensazioni molto più vasti: la città che sovrasta i sensi, con la sua grandiosità decadente e barocca, fatiscente e maestosa, la notte calda in cui osservare il mare parlando di cinema, di Clint Eastwood e della complicata esegesi di Rat-man, l'attraversamento nel sole di Piazza Plebiscito (con tentativo vano di attraversarla a occhi chiusi in linea retta), e poi Castel Sant'Elmo, il MADRE, tanti fumetti d'autore o meno.

A stare qualche ora al Comicon si capisce non solo che questa città è viva, e abbraccia con abbandono il mondo delle strip e dei fumetti, ma anche che il mondo dei comics sta vivendo, un questa temperie di crisi mondiale e di rivoluzione nella fruizione dei media, una sua stagione di incredibile sviluppo e creatività. A parte gli stand Panini, Rizzoli e Planeta, alla fiera era tutto un pullulare di editori di piccole e medi, con una produzione autoriale tutta nuova, da Becco Giallo a Tunué, da Black Velvet a  001 Edizioni, come una nuova ondata di produzione di autori che usano il formato del romanzo grafico e il modello economico del volume da libreria prezzato 12-15 euro per raccontare nuove storie in modo nuovo. Un'ondata di cui ho acquistato una serie di volumi e che conto di recensire in futuri post di questo blog.

In sintesi, una manifestazione che continua a crescere, ma che ormai - Lucca a parte - rischia di diventare la seconda in Italia per gli aspetti culturali, l'organizzazione, e la partecipazione del pubblico.



11 aprile 2009

Silence, please


R.I.P.
Inserito originariamente da Ogami Sensei

La notte di domenica, a Bologna, nella mia casa al quinto piano, tra San Luca e il Ravone, non ho quasi dormito. E da noi, il terremoto non si è sentito, ma una sorta di malessere mi aveva preso, una selva di pensieri terribili mi tormentava, senza motivo, senza ragione. Alle 4.30 ho ceduto a un sonno leggero, e alle 8.00 mi ha svegliato l'SMS dell'ANSA che comunicava a tutti dell'avvenuto terremoto in Abruzzo. All'Aquila.

Non so quanti dei miei amici e conoscenti emiliani e settentrionali conoscano personalmente l'Aquila. La città se ne sta lì, dietro il Gran Sasso, un po' defilata rispetto all'Adriatico, con quel suo orgoglio abruzzese, marsicano, un po' ruvido ma composto, nobile, accogliente. In alto, con le sue novantanove piazze, le sue novantanove chiese, le sue novantanove fontane. Un capolavoro di architettura. Un tesoro, necessariamente, nascosto.
All'Aquila ci sono stato spessissimo, nell'infanzia, nell'adolescenza, fino ai vent'anni. Mia madre è di un paese a pochi chilometri, Antrodoco, un ultimo scampolo di Lazio che gravita tra Rieti e l'Aquila, e ogni estate si finiva nel capoluogo abruzzese a salutare gli zii e i cugini, a girare per i mercati alla ricerca di pentole in rame, provviste di zafferano, salumi, confetti. All'ospedale dell'Aquila ci sono stato a vedere mia nonna malata, per le strade del centro ci ho camminato con mio fratello, mia madre, con ospiti che venivano a trovarci da Bologna e rimanevano a bocca spalancata davanti a quel gioiello nascosto, così spettacolare e defilato. Ci ho riso, giocato, fatto foto, comprato fumetti, corso sotto il sole di tanti agosto,

Non riesco a pensare che adesso L'Aquila sia una città fantasma, popolata dagli spettri di chi non c'è più, di chi se n'è andato, di chi non riuscirà a tornarci. Non riesco a sopportare tutto il dolore. Non riesco a vedere la TV, mi limito alla radio, a internet. Tutto il chiacchiericcio, la ricerca dello scoop del dolore, mi sembra insopportabile.

Non riesco ad indignarmi veramente per Berlusconi che invita i terremotati a pensare a quest'esperienza come una vacanza in campeggio, che preferisce spendere 400 milioni di euro per non fare l'election day, o per i politici che inseguono le telecamere a fianco delle tendopoli. Non riesco a indignarmi per lo show continuo di Vespa, per le troppe parole, per le troppe fesserie. Non riesco a indignarmi per le norme sismiche non seguite, per i lavori pubblici eseguiti in regime di corruzione e malversazione permanente.

Non riesco a indignarmi, ADESSO. Ci sarà tempo per tutti i distinguo, per tutti i redde rationem, per la giustizia (che sarà comunque beffata, alla fine).

Adesso. Qui e e ora.

Adesso c'è troppo dolore vero, troppa morte vera, troppa umana miseria e impotenza davanti alla furia della natura, al pianeta che ogni tanto ci ricorda che siamo solo ospiti, siamo solo microbi sulla scala geografica e storica del mondo, e possiamo essere spazzati via in una notte di primavera, in un attimo, in un soffio.



05 aprile 2009

Gran Torino, e dopo

Sono stato a vedere Gran Torino, ed inevitabilmente ho pianto.
Non che il film sia volutamente strappalacrime, anzi. Ha moltissimi momenti divertenti, commoventi, e solo nel finale, inevitabile, durissimo, ma anche liberatorio, quasi consolatorio, raggiunge il culmine, quell’apice di emozione che arriva a toccarci oltre il convincimento del nostro distacco, il distacco tra noi che stiamo al di qua del quarto muro e la fiction che viene riprodotta davanti ai nostri occhi.
Insomma, alla fine, vedere Clint Eastwood andare incontro al suo destino, con questo piglio da duro che conosciamo bene e ci aspettiamo, ma che qui è alla fine tenero, indifeso, tocca le corde del profondo; con la complicità di una colonna sonora che solo alla fine trabocca sull’emozionale, ci si ritrova con la faccia solcata di lacrime, a piangere come ragazzini.
Poi, sono uscito, con i miei compagni di cinema, e siamo andati a bere qualcosa al bar davanti al cinema, in uno di quei centri commerciali/multiplex/multisala che possono essere a Casalecchio, Cracovia o Albuquerque, ma sono comunque identici: similazioni sintetiche, di acciaio e vetro, di centri urbani vivi e di cui presto non ci rimarrà che il ricordo. E in questo bar, circondato da ragazzi ventenni, con look, facce, destini e illusioni la cui lontananza da me inizio veramente a sentire un po’ in questo periodo, ho avuto solo per un attimo dentro di me una sensazione di spaesamento generazionale c culturale, forse parente di quella che sente Walt, il personaggio di Clint Eastwood in Gran Torino. Solo per un secondo, e ovviamente non così netto come il gap tra Clint e i suoi vicini asiatici, ma sì la sensazione che nella liquidità del mondo ci si può perdere, in questo traboccare di differenze, di mescolarsi di generazioni, etnie, orientamenti, idee, origini, destini. Solo per un attimo sono rimasto in piedi a guardare tutta quella gente, in quel posto così artificiale e così reale, sentendomi a loro estraneo e vicino, proprio come Walt nel giardino dei suoi vicini asiatici.

Un attimo, solo un attimo, quasi avessi premuto "pause" sul telecomando della vita, per poi ripremere subito "play" ed immergermi di nuovo nella musica, nelle parole, nella sera, in un qualsiasi mercoledì, in una qualsiasi città del mondo.



31 marzo 2009

Perduti

Il 6 aprile ricomincia su Sky, LOST. Quinta stagione. Ma per moltissimi che leggono queste righe, è una non notizia, dato che più di qualsiasi altro serial americano, LOST è scaricato sulla rete, in tempo reale. Ogni settimana. Persino io, che sono pigrissimo e assolutamente contrario al download, non resisto alla tentazione ogni giovedì di scaricarmi la puntata di Lost andata in onda in USA il giorno prima. Con i torrent si ottiene il file in un'oretta, basta una chiave USB per passarla al DVD player e a guardarla con una definizione e un sonoro di ottimo livello. Mi chiedo, e spero che qualcuno di Sky sia all'ascolto, cosa impedisca a Sky di mandare in onda le puntate in inglese in contemporanea con l'America, magari in un canale apposito (facciamo SKY USA o SKY ORIGINAL), e poi doppiarle per il grande pubblico in un secondo tempo. Almeno potrebbe guadagnare con la pubblicità, e darebbe un freno al fenomeno dei download in crescita esponenziale.

A parte queste considerazioni oziose, due parole su LOST 5, dopo il consuesto spazio

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Se nella quarta serie si erano intravisti alcuni elementi propriamente fantascientifici solo nell'episodio THE CONSTANT e ovviamente nel finale, in questa quinta produttori e sceneggiatori sbrigliano le redini, e si entra nel tema che fin dall'inizio si poteva intuire in LOST: il tempo. I viaggi nel tempo. I paradossi temporali. La coesistenza delle cose, simultaneamente, in tempi diversi, in ere diverse. Ma non in realtà diverse, dato che la premessa di Abrams sembra essere "quel che è avvenuto, è avvenuto", e quindi andando nel passato non si finisce in mondi paralleli, ma si finisce per far avvenire proprio quel si sarebbe voluto evitare, per chiudere il cerchio e causare le cose come stanno/come stavano/come staranno.

E guardando le gesta di Sayid, Sawyier, Jack, Locke, Hurley, Jin, Kate e Juliette, finiti nel 1977 nel più impossibile dei rendez-vous spazio-temporale, mi viene da pensare che forse tutte le anomalie dell'isola... le donne incinta che morivano, la fonte di energia in fondo alla botola, Jacob, il mostro di fumo, gli orsi polari... sono state proprio causate dalla presenza sull'isola degli esiliati temporali dal 2007, in un loop, un serpente che si morde la coda, un po' come la storia della Sfinge marvelliana, che torna nel passato a dannare se stesso.

Staremo a vedere, mancano solo poche puntate alla fine della quinta stagione, cui farà seguito un sesta e conclusiva. Quello che continua a prendermi, in queste puntate, è il mix di fantastico e umano, di impossibilmente assurdo e di emotivamente credibile. Da un lato, il puzzle di paradossi e riferimenti incrociati. Dall'altro, le sensazioni e gli amori, le amicizie e gli odi, di questo cast che è ormai diventato un'icona di inizio secolo, un mosaico di personalità e personaggi che con il loro rimanere ancorati in un desiderio di normalità nonostante l'assurda anormalità del loro pelegrinare nello spazio e nel tempo, ci permettono di rimanere nella storia e sentirci coinvolti come in pochi altri serial TV, forse in nessuno...




25 marzo 2009

Non si parla di politica

Non parlo di politica su questo blog, di politica vera, non di temi morali, da quasi un anno. Come molte persone di sinistra, la vittoria schiacciante di Berlusconi l’anno scorso e il fondamentale stallo del PD, sono state un colpo così duro che si fatica a mettere nero su bianco quello che si pensa. Anche con gli amici, con le persone che condividono più o meno le mie idee, è diventato così penoso parlare di politica, che a malapena si fanno degli accenni. Lo sfascio è così profondo, la situazione così grave, che gli uomini e le donne con il cuore a sinistra – scusate se mi permetto di parlare collettivamente – se ne stanno un po’ in campana, accucciati, sentendosi a volte come i passeggeri involontari su di un autobus guidato da un autista mitomane, incosciente, che guida a 200 all’ora su una strada di montagna, a fari spenti nella notte, cantando a squarciagola, mentre noi ce ne stiamo in fondo sulla nostra poltrona a fare gli scongiuri, o far finta di dormire, o guardando fuori un paesaggio lunare sempre più desolato.

E la verità è che non possiamo fare (quasi) nulla. Berlusconi ce lo siamo scelti noi. Collettivamente. Credo profondamente che in una società evoluta ogni persona si scelga il proprio destino, che solo recuperando il senso di responsabilità di ognuno per se stesso si possa ottenere quell’onestà intellettuale e umana indispensabile alla crescita. E allora l’Italia ha scelto Berlusconi. Punto, Si merita un governo catto-fascista, un premier che vuole governare legibus solutus, intoccabile dalla legge, senza nemmeno sentire il parlamento. Legiferando come Santa Sede comanda nelle questioni morali e come Umberto Bossi comanda nelle questioni di immigrazione e federalismo, continuando a distrarre l’opinione pubblica e facendo passare il messaggio letale che dice “L’Italia è messa meglio degli altri paesi. L’Italia supererà la crisi meglio degli altri”. Dominando i media. Zittendo i magistrati.  

Il vecchio detto “Calunnia, calunnia, qualcosa resterà”, diventa “Menti, menti, qualcosa resterà”. E intanto, mentre i fatturati della pubblicità calano ovunque, quelli di Mediaset, rimangono gli stessi, dato che nessuna azienda sana di mente deluderebbe il premier in un momento in cui gli aiuti di stato stanno diventando indispensabili.

Ma, dicevo, innegabilmente Berlusconi ce lo siamo collettivamente scelto, e ce lo meritiamo. Chi non l’ha votato, chi disprezza profondamente lui e il suo modo di fare politica, è in una sorta di shock permanente, soprattutto perché non c’è oggi una opposizione plausibile, anch’essa divisa, priva di progetto, arroccata sul vecchio. Sono stato alla Festa dell’Unità lo scorso settembre. Sono andato allo stand del Partito Democratico per chiedere se potevo tesserarmi. Nessuno ha saputo dirmi come. Devo andare alla sede di quartiere, pare. Se nel XXI secolo, per aderire a un partito, devo fisicamente recarmi nella sua sede, agli orari di apertura prefissati, e non posso farlo online, virtualmente, in tre minuti, significa che siamo ancora legati a un mondo che non esiste, alle sezioni di partito in cui i pensionati giocano a carte il sabato pomeriggio, mentre invece attorno tutto è fluido e vorticoso e i destini si inseguono tra i continenti, sul web e nei cieli, nei mari e nelle strade, e le migliori energie di una generazione rimangono inutilizzate, deviate verso altre direzioni.

Ho quasi 44 anni. Vedo al potere gente ultrasessantenne, ultrasettantenne, che non ha alcuna oggettiva conoscenza del mondo oggi e che pretende di governarlo. Alle mie spalle, vedo una generazione di ventenni trasformati in adolescenti e di trentenni agguerriti che, ironicamente, sgomitano a tal punto che finiranno per sorpassare noi figli degli anni ’60, gli ultimi cresciuti con i due blocchi, con la convention ad excludendum, con la Democrazie Cristiana, le assemblee di istituto, i referendum sul divorzio e sull’aborto, una politica partecipativa in cui credevamo ma che ha finito per autoalimentare solo se stessa e trasformare l’Italia nella più patetica gerontocrazia dell’Occidente.

Ecco, sulle ultime file dell’autobus ci siamo proprio noi, senza diritto ala guida fino al 2013 almeno, in questo stato di disillusione permanente, di shock politico prolungato. E magari preferiamo parlare di viaggi, economia, musica, libri, filosofia, religione, costume. O produrre, creare, immaginare, scrivere. Tutto, pur di sopravvivere nella notte, pur di mantenere viva una speranza, pur piccola, pur microscopica, pur luminosa.



20 marzo 2009

Elogio dell'ombra

Tre Olmi è come suggerisce il toponimo: tre case oltre la tangenziale di Modena, tre strade, molti pioppi, a schermare la pianura, e la sensazione di essere oltre la città in un senso più profondo della geografia: case che un tempo erano fattorie in mezzo al nulla e che ora sono a fianco di villette, pub e caseggiati, qualche parcheggio, e soprattutto lo spazio, piatto e implacabile, che sa di inverni di brina e grigiore e di estati implacabili e afose.

A Tre Olmi ha lo studio Andrea Chiesi, ex-fumettista visto su L’Eternauta (in un’altra era geologica, editorialmente parlando) e oggi pittore di ombre e luce, di interni industrali e burocratici, di spazi chiusi e vuoti. Ci siamo conosciuti alla Galleria Otto di Bologna anni fa, a un suo vernissage. All’epoca dipingeva scene di periferia, altalene vuote in parchi gioco deserti di notte, pali della luce su arterie periferiche. Mi sembrava una pittura di fantasmi, un’evocazione di presenze, una sorta di incantesimo artistico per richiamare sulla tela gli spettri veri o presunti di un esistenza urbana contemporanea senza pietà o compassione.
Oggi Andrea dipinge altro. Capannoni industriali, gasometri, archivi, biblioteche, uffici, sale d’aspetto. In un rigoroso bianco, grigio e nero. Lo vado a trovare nel suo studio e noto ci sono solo tubi e tubi di pittura di questi colori. Ne chiedo di sentire l’odore, che va alla testa subito, è piacevolmente intossicante, è una di quelle cose che dà corpo all’arte, nella sua essenza terrena, materica, analogica. Andrea ha un sito, ma nessuna scansione può rendere la texture della tela, i riflessi della luce di marzo sulle tele rigorosamente senza cornice o vetro, appese nello studio, qua a Tre Olmi, oltre la tangenziale.
Nei quadri di Andrea c’è un iperrealismo che iperrealismo non è. Non sono luoghi reali, questi, nonostante le sue pennellate ne ricalchino le forme. Sono trasfigurati dal bianco e nero, sono squarci di luce nelle ombre, sono spazi vuoti, vuotissimi, dove forse nessuno ha mai camminato o camminerà, nessuno parlerà, amerà. Sono forse metafore dello spirito, delle sue notti, ombre, di luci alla fine del corridoio, forse uno squarcio di cielo dietro una vetrata, un altrove dietro una porta chiusa, in cima a una scala a chiocciola. E forse in quelle luci, in quegli altrove, ci saranno persone e vita e colori, ma per adesso fissando i quadri si rimane qui, nel nero, nel grigio, nel bianco, a scrutare e scrutarsi, mentre è marzo fuori e da qualche parte una finestra si apre, una persona entra in una stanza.




19 marzo 2009

Spring Haiku


Autumn Haiku for a Body
Inserito originariamente da Osvaldo_Zoom

I miei lettori fedeli reclamano nuovi post. Mi dicono “Dove sei finito. Ci manchi.”
E un po’ è vero che vi trascuro. Insisto a dire che bloggare nell’era di Facebook è diventato qualcosa di diverso. Qua limo ogni parola, impiego anche un’ora a scrivere un post, spesso nel cuore della notte o su un volo diretto chissà dove, con le cuffie dell’iPod in testa.
Su Facebook e in maniera minore su Twitter si condensa tutto in 140-160 caratteri, le piccole cose del giorno, gli umori, i minima immoralia e i minima moralia delle giornate del 2009.
Ed è sorprendente che a volte non serva altro, In pochissimi caratteri, quasi un haiku, si riesce a condensare un’emozione, una recensione, quello che succede.
Ricordo che fin da bambino ho avuto una passione per i riassunti. Prendere una storia e condensarla in trenta righe. In venti. In dieci. In una frase. Ricordo che a sette anni ci diedero una favola da riassumere, e la riassunsi –correttamente – in una riga. Spesso non serve altro, è il famoso “pitch”, il lancio del battitore che a Hollywood è diventato il sinonimo della proposta lampo, della frase che uno sceneggiatore usa per vendere un film a un produttore, e il produttore agli investitori e al regista, e gli addetti di marketing al pubblico, e parecchi spettatori ai loro amici.
Se una storia non è condensabile in un pitch, si dice, a Hollywood non può funzionare. Ma forse è vero per tutto, dall’Iliade a Lost, dall’Eneide al nuovo romanzo di 900 pagine di qualsiasi nobel della letteratura.

A volte penso quindi che dovrei in questo blog fare dei micro post. O bloggare una volta alla settimana con una serie di pensierini. Peraltro, a breve, partirà sul sito della mia azienda un blog ufficiale a tema “fumetti” (o meglio “fumetti Panini e politiche editoriali Panini”), liberando così Nova100 da interventi che spesso assomigliano alle discussioni di una riunione di condominio per utenti estranei al mundillo dei comics e dintorni. Si chiamerà “Io sono l’altro”, e solo i lettori Panini hard core possono capire l’oscuro riferimento fumettistico di questo titolo.

Quindi, su questo blog, resteranno il cinema, la vita, i libri, i fumetti in generale e non dal punto di vista di Direttore Publishing della Panini, la musica, la TV, i media, magari un po’ di politica, di psicologia, di cose mie personali che magari a voi non interessano in generale ma che mi permettono di chiarirmi la testa, a volte, di mettere agli atti delle cose di me, renderle, se volete, più chiare, nero su bianco su uno schermo, scolpite ad aeternum nella memoria virtuale del mondo che nulla perde o dimentica.



14 marzo 2009

Toppi


Toppi in color
Inserito originariamente da Marco40134

L'ho incontrato, alla vernice della sua mostra di Bologna, il maestro Sergio Toppi. Gli ho stretto la mano, ricordandogli quel volume della serie di Repubblica fatto assieme qualche anno fa, e lui si è schernito quando l'ho chiamato "maestro". "Ma che maestro e maestro". "Sergio, allora?" "Sergio va benissimo".

Per chi è cresciuto leggendo il Corriere dei Ragazzi, Linus, L'Eternauta, Toppi è un vecchio amico, un "autore per gli autori", molto amato, molto ripreso da altri artisti, ma estraneo ai fasti del grande pubblico.
Nelle sue tavole il tempo è rarefatto, l'azione cristallizzata, l'emozione la percepiamo distorta da una spessa lente di distanza nello spazio e nel tempo. Eppure ogni tavola è un gioiello, ogni vignetta un viaggio in un altro mondo, un altro momento della storia e di noi.

Non ci sono altri autori come lui. Forse solo DeLuca, ospite l'anno scorso sempre qui al Museo Archeologico di Bologna, anche lui a BilBolBul, aveva la stessa personale visione di stile e di composizione della tavola, senza incertezze, senza dubbi, senza compromessi.
Oggi, nella marmellata di stili che impera, ironicamente un autore altrettanto originale faticherebbe a imporsi. Perdetevi quindi nelle sale del museo, tra le sue tavole: sarà un'emozione che non si ripeterà facilmente, non sui fumetti, non per molti anni.




08 marzo 2009

At midnight, all the agents (una recensione di WATCHMEN)

Come si può tradurre per il grande schermo la graphic novel più importante del fumetto in lingua inglese? Come si possono condensare in 156 minuti le 408 pagine che Alan Moore e Dave Gibbons regalarono al mondo nel 1988, cambiando e rivoluzionando definitivamente tutto l'immaginario dei super eroi, rivelandocene l'orrore e la gloria, e creando un universo parallelo di infinita complessità e visionario sense of wonder?
Le domande vengono spontanee avvicinandosi al film di Zach Snyder appena uscito in Italia e nel resto del mondo. Davanti a un'opera a fumetti così complessa, che condensa una quantità così fitta di idee e di concetti, che dipinge un universo intero parallelo e confluente al nostro, il film si pone con una sorta di umiltà deferente ma non passiva. Da un lato riprende gran parte del fumetto quasi scena per scena, dettaglio per dettaglio, battuta per battuta, inchinandosi al genio di Moore e Gibbons; dall'altro si permette di prendersi qualche inevitabile libertà. Accentua le scene di azione e violenza, spesso oltre l'eccesso, rende più esplicite persino le poche scene di sesso, che all'epoca furono le prime rappresentazioni realistiche di coiti tra un uomo e una donna all'interno di un albo a fumetti americano, e che trasferiti sul grande schermo non rendono proprio al 100% la loro natura innovativa.

Snyder interviene persino sul finale del fumetto, che ne rappresentava forse il tallone d'achille, rendendolo ironicamente migliore, più logico, efficace.

Per chi ha letto e conosce bene il fumetto, assistere al film è un'esperienza: sono rimasto in bilico tra il riconoscere tutti gli elementi che amavo, nei dialoghi, nella sceneggiatura, nei dettagli delle scene, e nel notare tutto quello che Snyder ha aggiunto, per rendere più cinematografico il tutto per lasciare il segno, rendere WATCHMEN un film da XXI secolo a vent'anni dalla sua prima edizione cartacea.
Le cose che ho amato sono i personaggi, splendidamente resi, che praticamente  sembrano ricalcati sui disegni di Gibbons: lo sguardo da pazzo di Kovacs, la testa spaccata di un cane, il sorriso di Ozymandias, l'espressione assente del Dr Manhattan, la pancetta di Gufo Notturno, il sorriso rovesciato dello psichiatra che ha in cura Rorshach. Ho amato anche le scene al rallentatore, e i clip musicali con canzoni anni '80, due aspetti molto criticati ma che si giustificano pensando che Snyder ha dovuto rendere al cinema un fumetto graficamente definito in maniera assolutamente rigida e maniacale, che in sé e per sé non poteve essere tradotto visivamente nello stesso modo e che doveva quindi trovare sul grande schermo una sua voce, una sua firma iconica.

Ho amato meno gli eccessi di violenza e di sangue, esageratissimi rispetto alle coreografie molto contenute di Gibbons. Anche qui, il regista ha cercato di trovare una sua voce, ma a volte ho avuto l'impressione che fosse un po' troppo acuta, un po' troppo gracchiante.

Nel complesso, credo però che sia un film bellissimo, voto "tra l'8 e il 9", risultato grandioso se si pensa alla sfida di realizzare "il film irrealizzabile", di dare voce, movimento, musica, alle parole di Moore e ai disegni di Gibbons, alla loro cosmogonia parallela, al loro viaggio nella storia, nell'universo dentro e fuori di noi.


P.S. Consiglio a tutti i fan di WATCHMEN fumetto di non perdere WATCHING THE WATCHMEN, il making of della serie originale, da pochissimo edito da Panini Comics



24 febbraio 2009

La Gestalt per Tutti


The therapy room
Originally uploaded by Marco40134.
“Il senso della realtà non significa nulla, al di là del riconoscere che ogni evento accade nel presente, è qualcosa di sempre mutevole, indefinibile e intangibile, è l’unica realtà esistente.” Fritz Perls

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La Gestalt è una visione dell’individuo non più scisso tra mente e corpo, conscio e inconscio, emozione e ragione, individuo e collettività, ma visto olisticamente nella sua completezza, nel
suo essere qui e ora, consapevole e in relazione con se stesso e con gli altri.
Il lavoro gestaltico è utile a tutti coloro che desiderano iniziare un processo di cambiamento, di crescita personale, di maggiore conoscenza di se stessi attraverso la riscoperta della propria natura e naturalezza.
Rappresenta un invito a quanti intendono approfondire la conoscenza degli aspetti interpersonali ed emozionali del vivere.
Lo stile del lavoro gestaltico permette di superare progressivamente le barriere al contatto umano, per aiutarci a “essere” e “vivere” nel presente.

Lavoriamo con il nostro “mondo interiore” utilizzando tutte le tecniche che facilitano lo sviluppo interiore e l’espressività: attività
corporea, vocalità, meditazione, gioco e drammatizzazione.
Gli appuntamenti del laboratorio La Gestalt per tutti, sono aperti a coloro che hanno voglia di avvicinarsi alla Gestalt o approfondirne la
conoscenza, e che desiderano conoscersi e lavorare su di sé e sulle proprie tematiche in uno spazio protetto, guidato da psicologi,
terapeuti e counselor (di scuola gestalt).
Per ascoltare, ascoltarsi, condividere, portare le proprie esperienze e problematiche, in un’atmosfera di condivisione ed empatia.
Per chi sta attraversando un momento di passaggio o di inquietudine nella propria vita, per chi ha difficoltà a gestire e approfondire
la relazione con gli altri e con se stesso, per chi vuole affrontare i lati più difficili edistonici del proprio carattere…un appuntamento aperto di ascolto, scoperta, condivisione, tramite una tecnica di lavoro sul
sé profonda e potente.
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“Il ‘noi’ non esiste, ma è composto da me e da te, è una frontiera sempre mobile in cui due persone si incontrano. E quando c’è l’incontro, allora io mi trasformo, e anche tu ti trasformi.” Fritz Perls
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Cosa
La Gestalt per tutti
LABORATORIO APERTO DI ASCOLTO PROFONDO,
SCOPERTA, CONDIVISIONE
Quando
Ogni martedì, dalle ore 21 alle 23
Dove
Presso ISI, Centro di Salute Consapevole
Via Cesare Battisti 2, Bologna
Informazioni, iscrizioni
Monica Ventura: telefono 339 – 2957224
E-mail: gestaltpertutti@gmail.com
Quanto
Ogni incontro di due ore avrà un costo di 15,00 euro.
Chi
Psicologi e terapeuti conduttori:
•Dr. Gaetano Barone
• Dr Franco Bonsante
•Dr.ssa Anita Coppola
•Dr.ssa Maria Antonietta Milazzo
• Con la collaborazione dei counselor
del Centro Gestalt Bologna.
Si consiglia abbigliamento comodo.