29 marzo 2010

Sapessi come


Green Building in Milan
Inserito originariamente da Marco40134

Ho guidato da solo a fianco del Naviglio e per la strade della Grande Città in una macchina non mia, ascoltando musica non mia, canzoni randomiche da compilation sconosciute, ma facendo proprie entrambe, e incrociando jogger con le cuffie nelle orecchie, studenti che facevano le bolle di sapone davanti al liceo, anziani che trasportavano biciclette su ponti di metallo.

E in quest'aria diversa, in questa luce diversa, ho fatto foto a palazzi verdi, a felini di marmo, a tartarughe e pappagallini. E ho comprato un cartoccio di olive snocciolate al mercato del sabato di via Mercadante. Così, per allegria.
Camminando tra massaie e maghrebini, tra universitari e perdigiorno, ho perso tempo e camminato a lungo, in viali che a volte sembravano uguali, e a volte inediti e sorprendentemente diversi, con queste architetture anni '60 e piante rampicanti e giardini, e colori diversi da quelli che conosco: giallo, verde, bianco, grigio, antracite, amaranto, lontano dal familiare arancio, giallo e ocra di Bologna.

A Milano mi sento a casa, mi sono sempre sentito a casa. Mai capito perché, fin dalla prima visita oltre venticinque anni fa. Una città forse anonima, ma reale, viva, dura e dolce, brutta e bellissima. Nel sole, nella primavera appena arrivata, con il cielo terso, le Alpi visibili nello sfondo, come una cortina, è qui che mi accoglie, indifferente e al contempo ospitale. Nella luce.

28 marzo 2010

Noi, per una notte


Rai per una notte
Inserito originariamente da PDnetwork

Sono stato in Piazza Azzarita giovedì sera, a Bologna. E' la piazza antistante il Paladozza, il Palazzo dello Sport storico, dove giocavano a basket la Virtus e la Fortitudo e dove passano e sono passati cantanti e performer di ogni tipo. Ma l'altra sera sul palcoscenico non c'era un concerto, c'era Santoro, c'era Raiperunanotte, con 4000 persone a vedere il programma all'interno, forse due o tre volte all'esterno, e centinaia di migliaia attaccati alla rete. Me ne sono restato là fuori, a vedere passare la città, ritrovando volti familiari, volti sorridenti. A tratti mi sono voltato per vedere la luna a metà, accorgendomi che c'erano ragazzi arrampicati in cima ai camioncini, c'erano ragazze sul prato, sotto i portici, ovunque. E tutti guardavano lo spettacolo, applaudivano a volte, altre sbuffavano: tutto si può dire di Raiperunanotte tranne che sia stato perfetto. Non lo era, era a volte sforzato, altre ripetitivo, certe banale: ma era qualcosa di nuovo, un esperimento visionario di comunicazione "dal basso", e diceva qualcosa che è sempre più difficile dire, qualcosa cui siamo talmente assuefatti che ci siamo rassegnati, quasi, o troppo.

Diceva questo:

in Italia il presidente del consiglio controlla le reti di sua proprietà e le usa illecitamente come strumento di propaganda personale, in sfregio della legge e della morale politica nel senso più alto del termine.
Inoltre controlla le reti pubbliche ed altrettanto illegalmente è riuscito a zittire in campagna elettorale ogni programma a lui sgradito. Illecitamente.
I telegiornali pubblici e privati servono in dosi massicce solo come strumento di propaganda per il Primo Ministro e la sua parte politica. Di nuovo, illecitamente (vedi multa inflitta alla Rai, e che verrà pagata con i soldi pubblici, quindi con i nostri).

Sono verità. Che nessuno può negare. Nessuno in buona fede.
Eppure, diamo per scontato che sia così.
Pensiamo che sia ineluttabile, inevitabile.
E parliamo d'altro.
Dimenticando che è quello, il vulnus, l'illecito. La "cosa" che delegittima la destra dal governare il paese. Perché chi vince barando sulle regole del gioco, si può portare a casa il trofeo, ma ha barato, non gli appartiene, ha rubato la vittoria.

Ecco, Raiperunanotte ha detto questo. Che il re è nudo. Che se un Primo Ministro deve zittire tutto quel che può zittire, deve censurare, chiudere, bloccare ogni voce sgradita, commette una violenza contro il paese. Contro tutto il paese.

Oggi andrò a votare. Mai e poi mai mi asterrei. E voterò ancora PD. Non sono felice di come sta andando il PD, e le ultime, infelici sortite di Bersani sulla sentenza della corte Costituzionale sui matrimoni omosessuali sottolineano lo scollamento del partito da una vera, sostanziale visione laica della politica. Ma lo voterò perché mi sembra l'unico voto massicciamente utile a scuotere la situazione, l'unico che può avere un peso reale contro un governo che può zittire ogni voce sgradita (in TV ovviamente, l'unico mass media capace di muovere il consendo), ma non spegne il cervello di chi sa ancora pensare, ragionare, credere, sperare.

17 marzo 2010

Reed e il numero 5


Fantastic Four #571
Inserito originariamente da cskilpatrick

Ho letto il primo ciclo dei Fantastici Quattro di Jonathan Hickman e Dale Eaglesham senza troppo entusiasmo.

Avevo sfogliato uno degli episodi della storia, non il primo, e mi aveva deluso. I Fantastici Quattro sono una delle serie Marvel più complesse da scrivere, i suoi eroi sono delle icone moderne, e hanno alle spalle decenni di storie firmate da maestri come Lee, Kirby, Thomas, Buscema, Wolfman, Perez, Simonson, Byrne, Claremont, fino ai recenti Waid, Wieringo, Millar, Hitch. Renderli a fumetti non è facile, si rischia o di banalizzarli o di spingerli in saghe cosmiche che possono facilmente trascendere l’epicità e finire nell’eccesso, nella spettacolarità galattica fine a se stessa.

Hickman – autore del South Carolina fattosi notare per alcune collane della Image Comics – ha scelto come fulcro del suo ciclo il personaggio di Reed Richards, alias Mr Fantastic, alias “l’uomo di gomma” o l’uomo elastico, come lo chiama la vulgata popolare. E non è facile scrivere Reed.

Reed è l’uomo più geniale dell’universo, un “immaginauta”, ma un uomo che vive nel suo cervello, e che non si capisce come abbia potuto sedurre e sposare e avere dei figli dalla ben più carnale Susan Storm (che lo ha preferito al rude, irascibile, passionale Namor, il Sub Mariner).

Eppure Hickman ci è riuscito, e leggersi d’un fiato questo primo arco narrativo dedicato a Mr Fantastic è stata un’esperienza per un fan dei FQ come me… ma anche per un aspirante counselor di scuola gestalt che ha un’infarinatura meno che superficiale di Enneagramma.

Perché Hickman, nella sua narrazione di Reed, della sua infanzia, di come è oggi con il resto del mondo e della sua famiglia, riesce a dare – se ce ne fosse stato bisogno – una descrizione di Mr Fantastic come un prototipo perfetto di uno dei caratteri che compongono la stella a nove punte dell’enneagramma caratteriale. Perché Reed Richards, signore e signori, è un enneatipo cinque. Un perfetto, innegabile, affascinante prototipo del tipo caratteriale più cervellotico e schizoide che esista. Il cinque.

Ma prima di entrare in questa mia proposta di Reed come icona dei cinque, due-parole-due sull’enneagramma, dato che vorrei in una serie di post proporre alcuni brevi spunti su personaggi dei fumetti che incarnano le diverse “maschere” enneatipiche.

L’Enneagramma è uno dei modelli di classificazione delle tipologie caratteriali, adottato da più correnti di psicologia e soprattutto da uno dei filoni della gestalt. Si basa su una classificazione in nove “famiglie” di caratteri, segnate ognuna da una nevrosi di base o da un “peccato” di base. E’ una sorta di tassonomia dell’anima, inscritta in un antico simbolo sufi, l’ennegramma, il “simbolo a nove punte”, che secondo gli antichi poteva fungere da modello per ogni processo della natura e del mondo.

Secondo le teorie dell’enneagramma, il carattere si polarizza su nove “macrofamiglie” caratteriali, nove modi di vedere il mondo, e soprattutto nove sistemi di adattamento alla vita, nove sistemi di difesa, nove maniere di sopravvivere che diventano nove maniere di vivere.

E ognuno di noi, pur potendo trovare elementi propri in diversi enneatipi, ne incarnerà soprattutto uno, quello più vicino al modo che ognuno ha trovato per sopravvivere alla propria infanzia, e all’incontro/scontro con il mondo.

Ovviamente i personaggi dei fumetti non hanno un carattere, ma hanno una “caratterizzazione” , sono dei “caratteri”, dei “characters” , delle maschere. Ma alcuni, se li guardiamo bene, possono incarnare perfettamente alcune delle idee dell’enneagramma, possono diventare personaggi “ennatipici”.
Chi può negare che Spider-man sia un carattere sei (un fobico pieno di senso di colpa che si costringe al coraggio)? O che Thor e Iron Man siano dei due (orgogliosi, consci della propria forza, fino alla perdità dell’umiltà e dell’autocontrollo?) O per l’appunto, che Reed Richards, il capo dei Fantastici Quattro, sia un cinque.

Il cinque è il più cerebrale dei caratteri. Qualcuno che non chiede per non dover dare, e non dà per non dover chiedere. Qualcuno che da bambino è stato così “invaso” (dalla famiglia, dal mondo) che si è creato un mondo tutto suo, una bolla, una monade, un mondo di puro intelletto, dove le emozioni entrano pochissimo. Un cinque ama stare da solo. Un cinque vive soprattutto nel suo cervello. Spesso è un genio, o uno studioso, o una persona dedita alla scienza e alla ricerca più che alla vita di relazione. Un cinque è una personalità schizoide, diciamo.

E Reed Richards, da sempre, ma particolarmente nella versione di Hickman, è un cinque, un super-cinque. Chiuso nella sua stanza delle idee, si separa dalla moglie e dalla famiglia per cercare i 100 concetti che cambieranno il mondo, ma soprattutto il 101esimo “solve everything”, la soluzione di ogni problema dell’universo. E in questa sua dimensione separata conosce i Reed Richards delle altre realtà parallele, suoi corrispettivi che in questi mondi sono diventati ancora più potenti, ancora più geniali, in grado di manipolare i soli e di combattere con i Celestiali, gli dei cosmici che forgiano la vita dell’universo. Man mano che la storia continua, però, comprendiamo che il “nostro” Reed ha qualcosa che i suoi corrispettivi trans dimensionali non hanno: è l’unico a non aver rinunciato all’amore, alla sua famiglia. Perché il prezzo per essere una creatura suprema e risolvere tutto è proprio questo: rinunciare alla propria vita, rinunciare alle persone che si amano.

E quando Reed alla fine della storia esce dalla sua stanza e riabbraccia sua moglie, fa quello che si fa quando si decide di “lavorare” sul proprio carattere: fa un passo, un solo passo, fuori dalla stanza chiusa, fuori dal carattere, per vedere anche solo per un attimo come è il mondo visto con altri occhi.
E quell’unico passo, quell’unico attimo, cambia tutto, salva tutto, ci salva.

16 marzo 2010

Una mina vagante

Ho visto Mine Vaganti. Un sabato sera. In un multisala pienissimo. Dopo aver cercato invano di andarci in uno dei cinema "di qualità" più famosi e grandi di Bologna. E in effetti il nuovo film di Ozpetek ha tutti gli ingredienti per piacere: una storia originale, una commedia/tragedia che parla dell'Italia di oggi e che affronta sì argomenti forti (il coming out di due fratelli dell'alta borghesia leccese) ma in maniera abbastanza patinata e leggera, con due attori come Scamarcio e Preziosi nella parte dei protagonisti, da poter piacere a tutti, o meglio, piacere un po' a tutti.
Io l'ho visto e ho avuto una sensazione un po' controversa.

La sceneggiatura ha alcuni aspetti un po' farseschi e forzati, qualche siparietto caricaturale di troppo, e un'alternanza tra commedia e tragicommedia che non sempre funziona. L'intreccio ha tutti, tutti, tutti, gli elementi che ci aspettiamo da Ozpetek: la saggezza degli anziani, la morte come unico vero elemento di cambiamento (non l'amore, non il dolore, non la verità, ma la morte!), il mescolarsi della situazione del presente con una backstory che affonda le radici nel passato remoto, la contrapposizione tra la famiglia "d'origine", motore di miseria e costrizione e menzogna, e quella amicale, libera, solidale, vera. C'è persino una rappresentazione esagerata e oleografica di una distesa di dolciumi, come ne La finestra di fronte. E ovviamente ovunque cibo, pranzi, cene, al centro della scena, e canzoni, ascoltate, cantate, al cui ritmo la vita continua e i personaggi si muovono.

Si ride. Molto. Alcune gag sono irresistibili. La recitazione di protagonisti e comprimari è eccellente, soprattutto delle interpreti femminili.
Ozpetek, ancora una volta, esce dal binario del cinema italiano nazionalpopolare ed esplora il mondo parallelo in cui ogni amore è possibile, in cui uomini e donne possono e vogliono amare chi gli pare, subendo o reagendo alle costrizioni della morale e della famiglia. E questo filo lega assieme più generazioni, quelle mine vaganti che si ostinano a cercare una libertà del cuore, quegli zucconi che non imparano mai la lezione e continuano ostinatamente a seguire i loro sentimenti.

E che alla fine camminano assieme, nel passato e nel presente, con i loro amici e parenti, vicini e abbracciati, oppure solo uno al fianco dell'altro, guardandosi in sottecchi, per le strade barocche di Lecce o per le vie del mondo. Camminano.

 



11 marzo 2010

Di fumetti

E' un po' che non parlo di fumetti, ironico per un blog che si chiama Fumo di China. Forse perché di fumetti ne sto "facendo" più che mai, con un abbandono che sembra quasi paradossale in questa temperie economica. Mai ho lavorato a un numero maggiore di albi, con risultati che a volte deludono, ma che spesso sono incoraggianti, come se in momenti difficili il conforto delle storie a fumetti di personaggi o autori che si conoscono potesse dare un po' di sollievo, un meritato svago.

Fumetti da segnalare, quindi, un po' in ordine sparso...

Lou_cover

Per Renoir è uscito Lou, edizione italiana, in un formato bello e originale, dell'omonima serie di Julien Neel edita in Francia da Glenat. Come sta succedendo sempre di più nel nostro paese, i volumi originali (formato A4, cartonati, con 48 pagine di storia) vengono accorpati al ritmo di due o tre alla volta, rimpiccioliti al formato 17x26 o 19x26 o similari, e proposti in una più economica brossura. Questo cambiamento "cosmetico" serve a vincere le storiche esitazioni del nostro mercato, e a rendere d'un tratto disponibili da noi opere altrimenti votate al limbo editoriale.

Nel caso di Lou questa metamorfosi editoriale è straordinariamente benvenuta, dato che ci troviamo davanti a uno dei prodotti di maggior interesse di origine francese, straordinariamente moderno, trasversale, una lettura che rinfranca chi ama la letteratura disegnata e la sogna svincolata da ogni lacciuolo, da ogni scuola, da ogni classificazione. Lou è a prima vista un fumetto "per bambini", nella tradizione del fumetto d'oltralpe che ha interiorizzato gli stilemi di una letteratura disegnata principalmente destinata all'infanzia (o agli adulti che si portano dietro l'infanzia sulle spalle, in un modo o nell'altro). Ma quando si legge, si rivela per quello che è, un fumetto/diario, la storia di una ragazzina figlia di una ragazza madre, in una Parigi modernissima e realissima, multiculturale, dove ci si innamora a suon di MSN e SMS, dove ogni riferimento a fatti o costumi realmente diffusi NON E' assolutamente casuale.
Con un disegno irresistitible, colori tenui e perfetti, Lou è un po' un cigno nero, un "unicum", e quindi forse difficilmente assimilabile a quel che il mercato richiede. Ma Oltralpe ha trionfato per la sua poesia, la sua leggerezza, la sua profondità. E per chi come me ha sognato la sua infanzia con Valentina Mela Verde, questo ne è l'equivalente, trent'anni dopo, con Parigi sostituita a Milano, e un salto generazionale e cronologico e tecnologico assolutamente senza rete.

In ambito super-eroi, lontanissimo da Lou e dai tetti della capitale francese, continuo a restare senza fiato leggendo Dark Avengers. Di Brian Bendis ho parlato, mi piace moltissimo quello che scrive e come lo scrive (con questi dialoghi "naturali" che emulano la parlata dei personaggi alla perfezione), ma quando si mette alla prova con psicotici, assassini, schizoidi, serial killer, dà profondamente il meglio di sé. Bisogna essere dei fan un po' "hard core" della Marvel, ma è davvero ottimo.

Continuano poi le serie che amo e che sempre cito in questo blog, tipo Invincible Iron Man, Captain America, Daredevil, ma permettetemi di citare due delle "new entry" nella hit parade dei comics preferiti dal sottoscritto: 

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Punisher MAX, la nuova serie del Punitore "adulto" scritto da Jason Aaron con disegni di Dillon, è una delle produzioni migliori della Marvel. Aaron (che sta facendo anche alcune cose interessanti con la nuova serie di Wolverine, WEAPON X) non fa rimpiangere Garth Ennis, e forgia uno dei cicli più cupi e duri mai visti del personaggio. Da leggere assolutamente.

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Spider-Woman: Bendis e Maalev ci riescono ancora, e dopo Daredevil affrontano un altro giustiziere "urbano", una donna stavolta, la Donna Ragno originale, Jessica Drew, completamente ripensata e rilanciata. E chi come me ricorda le sue storie a San Francisco scritte da Chris Claremont e disegnate da Steve Laialoha, questo ciclo della letale e misteriosa eroina ragnesca fa semplicemente venire i brividi addosso...

Noir, intensa, dannata, ricorda Alias (sempre Bendis, sempre una
donna), ma è Spider-Woman. Non proprio la sola e unica, ma
Spider-Woman. L'originale.





04 marzo 2010

The house and the storm (and today's paper)


the house and the storm
Inserito originariamente da enrix_64 (off/on)
E’ un po’ che non leggo il giornale.
In un mondo ideale mi piacerebbe trovarlo sullo zerbino della porta di casa la mattina, fresco di stampa, ma siccome vivo nella grassa Bologna dove pochissime edicole si degnano di fare questo servizio di consegna, questo è un lusso impossibile, e quindi poi esco di casa, vado al lavoro, ne esco alla sera, e finisce che non ho modo di comprarlo, e alla fine mi accontento di sbirciarlo al bar o su internet. Così, quando un viaggio in aereo o in treno mi consente di avere due ore di tranquillità, e mi inoltro nelle pagine di Repubblica o del Corriere, e mi ritrovo in una selva oscura. O meglio, su una spiaggia. Con davanti un’onda anomala. O uno tsunami. Di merda.
Una cosa è leggere e seguire le notizie ogni giorno, altra è staccare la spina e poi ricollegarsi e scoprire in pochi minuti che

1) la Protezione Civile è sepolta da uno scandalo senza precedenti (e peraltro invece che gestire terremoti, frane e incendi, organizzava misteriosamente anche tornei ed eventi di vario genere, proteggendo chi da cosa, mi chiedo…), uno scandalo dove denaro mazzette e corruzione si sposano al mercimonio sessuale di minima lega (con tanto di prostituzione maschile collegata, ohibo, al Vaticano e al giro dei seminaristi e romani).

2) La campagna elettorale per le regionali è in pieno svolgimento, ma la destra (che vorrebbe gestire il paese) non è nemmeno stata capace di gestire la raccolta delle firme nelle due principali regioni italiche. E non parliamo dei candidati della PdL in Lombardia, dove, cito verbatim, compaiono “l’igienista dentale del Cavaliere, già ballerina a Colorado Café, il fisioterapista del Milan, il geometra di Arcore”).

3) Il Senatore Di Girolamo va in galera – simpaticamente - per accuse di riciclaggio e collusione con la ‘ndrangheta e la destra in parlamento lo applaude “solidale” (solidale per cosa? Per il riciclaggio o per la collusione con la malavita organizzata?)

4) Il parlamento fa passare une legge che aggira l’articolo 18, mentre sugli immigrati – sotto silenzio – si applica a macchia di leopardo una direttiva “segreta” che invita a espellere coloro che chiedono la sanatoria, sa hanno un’espulsione alle spalle (dal momento che la “mancata obbedienza all’espulsione” è un “reato grave” per cui è previsto l’arresto, a differenza di altri reati…). Quindi chi si vuole regolarizzare, si mette in gabbia da solo, ma solamente in alcune città, in altre no (un terno al lotto?)

5) Per la “par condicio” si aboliscono i “talk show” per un mese. Senza esclusioni. Come per dire, nell’impossibilità di far parlare tutti alle stesse condizioni, non facciamo parlare nessuno. E questa, non so a voi, mi pare tra tutte una delle cose più inqualificabilmente ingiuste (vogliamo dirlo? Una bastardata?).

E poi non parliamo delle armi all’Iran, e di quello che si legge nelle pagine più interne e di quello che è avvenuto nelle scorse settimane e che non trova spazio in Repubblica oggi, seppellito dalle emergenze del 4 marzo 2010.

Come ho scritto mesi fa, siamo nel tunnel. Siamo in un buio così pesto che non vediamo neppure la luce all’altro estremo. Perché forse non c’è fine. Forse resteremo per sempre in una democrazia menomata, manipolata, dove vige la legge del più furbo, dove la legge “vera” si aggira e si corrompe, e dove una bugia, ripetuta, diventa la verità (ah dimenticavo, il signor Mills “assolto”… in quanti su 60 milioni di italiani capiscono o sanno cosa è successo davvero? O credono alle parole delle veline del TG1?).

Nel tunnel. Un tunnel che ci siamo scelti, peraltro. E in cui alla fin fine diciamo, esplicitamente o per stanchezza o per connivenza “hic manebimus optime”.