05 aprile 2009

Gran Torino, e dopo

Sono stato a vedere Gran Torino, ed inevitabilmente ho pianto.
Non che il film sia volutamente strappalacrime, anzi. Ha moltissimi momenti divertenti, commoventi, e solo nel finale, inevitabile, durissimo, ma anche liberatorio, quasi consolatorio, raggiunge il culmine, quell’apice di emozione che arriva a toccarci oltre il convincimento del nostro distacco, il distacco tra noi che stiamo al di qua del quarto muro e la fiction che viene riprodotta davanti ai nostri occhi.
Insomma, alla fine, vedere Clint Eastwood andare incontro al suo destino, con questo piglio da duro che conosciamo bene e ci aspettiamo, ma che qui è alla fine tenero, indifeso, tocca le corde del profondo; con la complicità di una colonna sonora che solo alla fine trabocca sull’emozionale, ci si ritrova con la faccia solcata di lacrime, a piangere come ragazzini.
Poi, sono uscito, con i miei compagni di cinema, e siamo andati a bere qualcosa al bar davanti al cinema, in uno di quei centri commerciali/multiplex/multisala che possono essere a Casalecchio, Cracovia o Albuquerque, ma sono comunque identici: similazioni sintetiche, di acciaio e vetro, di centri urbani vivi e di cui presto non ci rimarrà che il ricordo. E in questo bar, circondato da ragazzi ventenni, con look, facce, destini e illusioni la cui lontananza da me inizio veramente a sentire un po’ in questo periodo, ho avuto solo per un attimo dentro di me una sensazione di spaesamento generazionale c culturale, forse parente di quella che sente Walt, il personaggio di Clint Eastwood in Gran Torino. Solo per un secondo, e ovviamente non così netto come il gap tra Clint e i suoi vicini asiatici, ma sì la sensazione che nella liquidità del mondo ci si può perdere, in questo traboccare di differenze, di mescolarsi di generazioni, etnie, orientamenti, idee, origini, destini. Solo per un attimo sono rimasto in piedi a guardare tutta quella gente, in quel posto così artificiale e così reale, sentendomi a loro estraneo e vicino, proprio come Walt nel giardino dei suoi vicini asiatici.

Un attimo, solo un attimo, quasi avessi premuto "pause" sul telecomando della vita, per poi ripremere subito "play" ed immergermi di nuovo nella musica, nelle parole, nella sera, in un qualsiasi mercoledì, in una qualsiasi città del mondo.



3 commenti:

Diego Del Pozzo ha detto...

Ciao Marco, complimenti per il tuo post su "Gran Torino". Approfitto per segnalarti il link del mio blog, dove puoi trovare una mia recensione a questo nuovo capolavoro di zio Clint. Mi farebbe piacere se la leggessi. Diego Del Pozzo (http://off-topic-off.blogspot.com/2009/03/lennesimo-capolavoro-di-clint-eastwood.html). Ps: Tra l'altro, se guardi in fondo alla home page del mio blog troverai il link del tuo Cuoredichina.

Pepito ha detto...

Ma porca miseria... L'unica settimana che non lavoro di mercoledì (Multisala di Casalecchio) tu vieni a vedere Gran Torino (che ho visto lunedì scorso)? Ieri sera invece è passato Brighel, con la mitica felpa rossa di Capitan America... anche lui per Gran Torino.
Un abbraccio!
Pablo, bigliettaio UCI a tempo determinato fino al 27 aprile, e Marvel-Addicted.

vittorio ha detto...

come non essere d'accordo con te, caro amico? la cosa buffa che questo film fa, appunto, anche ridere. ma, inevitabilmente, anche piangere. come i migliori film di zio Clint. come Mystic River. Come Madison County, come Million Dollar Baby, come Unforgiven, come A Perfect World!!! che aggiungere d'altro? Morto Sergio Leone al vecchio Clint, senza cappello, è rimasta solo una faccia, e in questo film forse fa un po' più di fatica, ma alla fine esci dal cinema e ti dici, cazzo, è un film importante. ne è valsa la pena di vederlo. io e la mia bella, usciti dal cinema, ci siamo fiondati in un ristorante cinese!!!