11 aprile 2009

Silence, please


R.I.P.
Inserito originariamente da Ogami Sensei

La notte di domenica, a Bologna, nella mia casa al quinto piano, tra San Luca e il Ravone, non ho quasi dormito. E da noi, il terremoto non si è sentito, ma una sorta di malessere mi aveva preso, una selva di pensieri terribili mi tormentava, senza motivo, senza ragione. Alle 4.30 ho ceduto a un sonno leggero, e alle 8.00 mi ha svegliato l'SMS dell'ANSA che comunicava a tutti dell'avvenuto terremoto in Abruzzo. All'Aquila.

Non so quanti dei miei amici e conoscenti emiliani e settentrionali conoscano personalmente l'Aquila. La città se ne sta lì, dietro il Gran Sasso, un po' defilata rispetto all'Adriatico, con quel suo orgoglio abruzzese, marsicano, un po' ruvido ma composto, nobile, accogliente. In alto, con le sue novantanove piazze, le sue novantanove chiese, le sue novantanove fontane. Un capolavoro di architettura. Un tesoro, necessariamente, nascosto.
All'Aquila ci sono stato spessissimo, nell'infanzia, nell'adolescenza, fino ai vent'anni. Mia madre è di un paese a pochi chilometri, Antrodoco, un ultimo scampolo di Lazio che gravita tra Rieti e l'Aquila, e ogni estate si finiva nel capoluogo abruzzese a salutare gli zii e i cugini, a girare per i mercati alla ricerca di pentole in rame, provviste di zafferano, salumi, confetti. All'ospedale dell'Aquila ci sono stato a vedere mia nonna malata, per le strade del centro ci ho camminato con mio fratello, mia madre, con ospiti che venivano a trovarci da Bologna e rimanevano a bocca spalancata davanti a quel gioiello nascosto, così spettacolare e defilato. Ci ho riso, giocato, fatto foto, comprato fumetti, corso sotto il sole di tanti agosto,

Non riesco a pensare che adesso L'Aquila sia una città fantasma, popolata dagli spettri di chi non c'è più, di chi se n'è andato, di chi non riuscirà a tornarci. Non riesco a sopportare tutto il dolore. Non riesco a vedere la TV, mi limito alla radio, a internet. Tutto il chiacchiericcio, la ricerca dello scoop del dolore, mi sembra insopportabile.

Non riesco ad indignarmi veramente per Berlusconi che invita i terremotati a pensare a quest'esperienza come una vacanza in campeggio, che preferisce spendere 400 milioni di euro per non fare l'election day, o per i politici che inseguono le telecamere a fianco delle tendopoli. Non riesco a indignarmi per lo show continuo di Vespa, per le troppe parole, per le troppe fesserie. Non riesco a indignarmi per le norme sismiche non seguite, per i lavori pubblici eseguiti in regime di corruzione e malversazione permanente.

Non riesco a indignarmi, ADESSO. Ci sarà tempo per tutti i distinguo, per tutti i redde rationem, per la giustizia (che sarà comunque beffata, alla fine).

Adesso. Qui e e ora.

Adesso c'è troppo dolore vero, troppa morte vera, troppa umana miseria e impotenza davanti alla furia della natura, al pianeta che ogni tanto ci ricorda che siamo solo ospiti, siamo solo microbi sulla scala geografica e storica del mondo, e possiamo essere spazzati via in una notte di primavera, in un attimo, in un soffio.