17 gennaio 2014

Una luce così nordica

È sempre difficile trovare la mia voce … per il blog .... alterno pensieri lirici e pieni di spleen ad altri più freddi e distaccati e cinici. 

A volte penso che non dovrei fare altro che descrivere le cose che mi succedono dando loro semplicemente uno spazio maggiore rispetto ai 140 caratteri di Twitter.  

Parlare di come mi sono sentito salendo sul palco da solo al Ratcon, ricevendo l'applauso di 800 persone, e come mi sono riempito di adrenalina a tal punto che la mattina dopo ero sveglio alle 6.00, con tutta quella vita e quell'energia che mi scorrevano in corpo che non sapevo neppure dove metterle,
Posso parlare di una domenica mattina alle terme di Salsomaggiore, in quello spazio così liberty e decadente mescolato con un tentativo di modernità termale, quello spazio in cui vive qualche pezzo più antico di me, che continuo a rispettare e volermi tenere dentro, perché come dice il Dottore alias Matt Smith " Siamo tutti persone diverse nel corso della nostra vita e va bene, devi continuare a muoverti, a patto di ricordare tutte le persone che sei stato."

E poi c'è oggi, questo viaggio di un giorno a Parigi per lavoro. La sveglia alle cinque e quarantacinque, preceduta come sempre da un sonno che si spezza di continuo per l'ansia della partenza. Il decollo di notte, la bruma che diventa aria limpida che diventa nuvole che diventa cielo tra il sorgere del sole e il giorno, e la distesa senza fine delle nuvole sull'Europa, e io che la guardo come sempre cercando di respirare e rilassarmi e sentire (come sempre, come sempre) come ogni viaggio in aereo ti trasporti da un punto A a un punto B ma in quella sospensione dalla terra che è il volo ti trasformi anche dal sé che eri al decollo a quello che sarai all'atterraggio, una primitiva forma di teletrasporto dove quel che viene disintegrato e ricostruito non sono le tue molecole ma la tua anima,

Poi, a Parigi. Muoversi in taxi e in metro. Bere uno strano caffè, mangiare un croque-monsieur, e fare incontri di lavoro in francese, questa lingua che conosco in maniera limitata, ma all'occorrenza mi sciolgo e mi butto e mi invento quel che non so, e faccio giri di parole attorno alle espressioni che non ricordo, ma alla fine quello che devo dire si capisce. Fuori, guardo il fiume e i palazzi di questa prima periferia dove ci sono più acciaio e vetro che non pietra e mattoni,  mi immagino se mai un giorno abiterò qui e so che non sarà così, ma per un attimo in un tardo pomeriggio dalla luce quasi nordica, mi dico di sì. 
Aspetto l'ora del volo di ritorno camminando attorno a Rue S.te Croix De La Bretonnnerie. Me lo ricordo, questo budello del Marais, dal 1989, quando era tutto un locale, un bar fetente, un ristorante marocchino, un Sex-Shop. Ora di anno in anno si imborghesisce di più, al posto del Sex Shop hanno aperto un negozio di macarons. Resta l'albergo a tre stelle dove sono sceso non meno di tre volte, in quei primi anni '90, e in cui ora non mi fiderei più a mettere piede, per la mia unica vera forma di snobismo tardivo, ossia l'amore per gli alberghi di design dalle 4 stelle in su. Ma ci passo davanti e ricordo quell'altro tempo e quell'altro Marco meno complicato, e dal 2014 gli sorrido.

Infine, di nuovo in volo. Stavolta l'Europa è senza nuvole. Una luna piena perfetta (?) si riflette sui corpi d'acqua sottostanti e man mano che ci muoviamo la sua luce a terra si sposta, un flash dopo l'altro, surreali esplosioni che possiamo vedere solo noi, da quassù.

31 maggio 2013

Quel che si intravede, o intuisce (direi, l'amore)


Prendi la cornice digitale dimenticata, ritrovata nel trasloco. In qualche modo riesci ad accenderla, a ricostruire come funziona. E si accende, le immagini scorrono lente, implacabile. Sei tu, dieci chili fa, occhiali da miope fa, amori fa, in altre immagini e viaggi e latitudini. E sei tu e non sei tu e questi cinque anni sono cinquecento o cinquemila.

E questa notte non è fatta per leggere o per guardare la tv. E' fatta per scrivere, per seguire immagini nuove che carichi sulla cornice e che sono di queste settimane. Settimane in cui hai cambiato casa, hai messo tutto quello che avevi in cento scatoloni, mani pesantemente delicate li hanno sollevati, li hanno portati giù dal quinto piano e poi su fino al sesto. Scatoloni e camion e scale e carrelli elevatori e tre giorni più scorrevoli del previsto in cui ti sei spostato dal Baxter Building e sei approdato alla Watchtower. 400 metri più ad est, una fermata d'autobus più verso il centro, stesso quartiere, stesso CAP, stessa parrocchia, stesso circolo del PD. Eppure, come mille miglia di distanza, come un viaggio in un altro pianeta. Eri in affitto prima, in quella piccola casa con quel grande terrazzo e cinquanta piante e il fantasma di un gatto e altri fantasmi che abitavano con te. Li avevi anche interrogati, una volta, con l'aiuto di un amico sensitivo (sensitivo sul serio, come nei fumetti), e ce n'era uno che proteggeva la casa o forse la infestava, con un nome impossibile, e nella descrizione sembrava il fantasma di un aborigeno, di un'anima antica, un tuo Gateway personale. E in quella casa ci avevi abitato sedici anni ed eppure non era tua, c'erano parti in cui non avevi mai messo piede, cassetti mai aperti, nodi chiusi cinque, dieci, quindici anni fa e mai sciolti, una carta da parati improvvisata per coprire la colonna in vetro verde smeraldo del salotto, creata con carta da preghiera cinese, a sei mani, una delle prime mattine di quel maggio 1997, e mai cambiata. C'era tanto amore in quella casa, ma negli anni si era unito al dolore, alle lacrime, all'inerzia della vita che non scorre, e alla fine c'era tutto, c'era troppo, un giardino sotto il cielo da cui la città si intravedeva appena, una casa che non era tua in troppi sensi.

E invece, qua, nel palazzo più a est, sei a casa. nella casa che hai trovato e comprato tra mille paure e incertezze e sacrifici, ma quella in cui sei entrato in una mattina di febbraio del 2012, quando era ancora di una vecchia signora che ci abitava da 43 anni, e ti sei detto "ecco, vorrei vivere qui, in questa specie di torre sospesa nel cielo, con le finestre da soffitto a parete che danno l'impressione di essere su una nuvola". 
Una casa che non ha nulla a che vedere con la precedente, e che è diventata tua undici mesi fa e che da allora è stata ripensata, praticamente distrutta e ricostruita, con tutta una serie di cose che volevi, un pavimento grezzo di quercia e cenere, le pareti bianche e grigie, ma un muro carta da zucchero in camera da letto, due piccoli terrazzini dove hai portato il limone, l'ulivo, il lauro, l'edera, un'acacia, le piante grasse, la parete a lavagna in cucina, la stanza dei fumetti.
Una casa che nasce così, per ora senza fantasmi, con l'odore di nuovo, la vista a sud, sulle colline da San Michele a San Luca, la città intravista a est, l'Appennino modenese che si intravede a ovest ma solo nelle mattine più terse. Una casa in cui sei a volte solo, altre in due, dove l'amore scorre assieme alla vita, dove ora sei uno ma presto sarai in due, una nuova famiglia che tra queste pareti camminerà, riderà, ascolterà musica e aspetterà l'alba, in un qualche mattino d'estate, guardando a est.

28 aprile 2013

Interview

Giusto perché non rimanga una fila di bit nel mio iPhone ecco il file completo spedito a Repubblica a tema Twitter, in occasione del Domenicale del 28 aprile 2013.

Enjoy!

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Nome, età, città, titolo di studio, professione, stato civile

Marco M. Lupoi - anni 48 - Bologna - un dottorato di ricerca in matematica lasciato a mezzo oltre vent'anni fa per dedicarmi al fumetto. Lavoro come direttore publishing del gruppo Panini, e seguo un programma di albi a fumetti di qualche migliaio di titoli annui, in almeno 10 paesi.
Il mio stato civile? Innamorato.

Da quanto Twitti?
Ho iniziato nel 2007, sono stato uno degli "early adopters", quando su Twitter non c'era nessuno o quasi in Italia e dovevi scrivere in inglese e in terza persona per farti ascoltare da qualcuno.

Quante tempo ci dedichi al giorno?
Difficile quantificare, dato che sono un lettore veloce e ho un metodo di scrittura impulsivo, di pancia. Qualche minuto nelle giornate lavorative, di più la sera o nei week end o negli eventi.


Perché pensi di aver tanto seguito?

Onestamente è un mistero anche per me. Mi seguono i miei lettori, raccolti in questi cinque lustri di fumetti, ma anche tanta gente capitata per caso. E poi Twitter ha un suo algoritmo per cui se hai tanti follower il sistema ti alimenta il numero, proponendoti come "persona da seguire". A un certo punto mi seguiva pure Obama (dio solo sa perché) e l'algoritmo si è ulteriormente rinvigorito.



C'è un twit di cui sei particolarmente "fiero"?

Quando uno ne scrive migliaia è difficile restare legati a uno in particolare. Peraltro io twitto su quattro filoni: il fumetto, i miei interessi (film e telefilm), la politica, e la mia vita privata (emozioni stati d'animo momenti).
Forse sono legato al tweet in cui ho dato il mio endorsement a Matteo Renzi, o tra quelli personali quelli in cui cerco di descrivere sottili malinconie, attimi, il passaggio del tempo, la qualità della luce. O anche gioie assolute o l'abisso della tristezza, Ma anche i tweet in cui parlo di mia madre (#mammapanzer) e delle sue idee politiche, o quelli in cui bacchetto twitteri che "tubano" in diretta con l'hashtag #getaroom

Ha cambiato in qualche modo la tua vita?
Sicuramente rispetto a un blog Twitter permette una condivisione immediata, istintiva, molto in sintonia con come sono. Quindi è stato per me diario, valvola di sfogo. Ma anche metodo di socializzazione: molte grandi amicizie sono nate da Twitter, amicizie in carne e ossa. Twitter è anche un po' chat, e questo è un aspetto importante, anche se vanno evitati eccessi in questo senso.

Che soddisfazione ti dà?
Quando catturi l'esperienza o l'idea che vuoi ricordare, e la immetti in un tweet, e sono 140 caratteri che rollano sulla lingua come un vino perfetto, allora sì, hai una certa soddisfazione, anche creativa: racchiudere in 140 caratteri un pensiero, un'idea, un'immagine, una recensione, è sempre arte di scrittura.

Quali sono le tue "regole"?

In coppia si può twittare solo a colazione. Mai insultare, usare turpiloquio (salvo disastri eccezionali). Mai fare spoiler di film o fumetti. Evitare abbreviazioni o scorciatoie. Rispettare ortografia (nei limiti del corretttore automatico dell'iphone. Riservare i tweet molto personali a orari iper notturni. Riservare i tweet importnati alle ore di massima audience (Twitter è come la Tv, ha i "ratings") Non esagerare nei retwitt.
Ma soprattutto essere se stessi. L'unica cosa ormai rimasta al mondo che valga la pena fare.

Twitter dà dipendenza?
Dopo un po' inizi a riconoscere quando un'idea un evento un pensiero sono "twittablli" (un po' come quando facendo un blog capisci cosa è bloggabile o meno).
Quindi ognuno di noi twitteri a qualche modo ha una dipendenza dal mezzo, più o meno sottile, più o meno nevrotica.

Hai fatto incontri o conoscenze di qualsiasi tipo grazie a Twitter?
Moltissimi amici e amiche. Anche qualche contatto professionale o para-professionale. Direi che su Twitter si incontrano amici e persone vere, Facebook è più strumento per … altre conoscenze.

Hai messo a frutto in qualche modo questo tuo "successo"?
Solo per farmi ammettere al quartier generale di Twitter a San Francisco come uno dei VIT italiani (Very Important Twitterer) e rimediare una visita guidata e la mia T-shirt favorita

Pensi che potrebbe accadere, magari come autore testi, giornalista, politico ecc...?
Diciamo che sono uno di quelli che uno spazio ufficiale per scrivere ce l'ha, tra le varie dozzine di collane di fumetti che dirigo, quindi Twitter mi serve a comunicare divertire ed espandere un mio mondo anche personale.

Quanto durerà il fenomeno Twitter?
Difficile a dirsi. Twitter rispetto a Facebook è stato un diesel. Ma proprio per come funziona si presta a informare e creare opinione in maniera più diretta. Quindi direi (e spero) a lungo.

Cosa ti irrita maggiormente di quanto viene detto a proposito di Twitter e di quanto accade su Twitter?
Che spesso chi ne parla non ha idea. Non ha mai visto un evento seguendo i tweet su scala mondiale e non ha mai provato a raccontare come ci si sente svegliandosi all'alba del primo giorno del resto della propria vita. Ecco. L'ignoranza. #soncose


06 dicembre 2012

Due o tre cose di politica

A volte aspetti un poco e poi ti torna. La voglia di scrivere qualcosa in un blog. Forse perché i 140 caratteri sono un po' pochi, per farsi capire. E quindi, pagina bianca, righe illimitate.

Parliamo un po' di Matteo Renzi. L'ho votato. L'ho sostenuto nei social media. Gi ho dato il mio endorsement (per usare questa parole). E lo rifarei ancora.

Di rado ho visto su un sola persona scatenarsi un putiferio di attacchi come quelli che ha sostenuto lui. "È di destra. È democristiano. È andato a trovare Berlusconi ad Arcore. È arrogante. Vuole sfasciare il PD".

Senza considerare che Matteo è del PD, non l'ha sfasciato (anzi), ha idee di sinistra (sicuramente più liberal rispetto a Bersani, ma NORMALI in un partito europeo di sinistra del XXI secolo) e che la sua discesa in campo ha rafforzato il partito, attirandogli le simpatie anche di gente NON di sinistra (e se vogliamo vincere, di chi vogliamo prendere i voti, dei marziani?).
Senza considerare che la sua piattaforma sui diritti civili, LGBt e non, anche se non ottimale, era quanto di più avanzato visto nel PD da sempre. Contro le posizioni di Bersani, che si segnalò nel 2010 per una posizione contro i matrimoni gay vergognosa, e per non aver mai neppure dato uno spazio effettivo alle istanze del movimento LGBT dentro il partito.
Senza considerare che se non fosse stato per l'invito alla rottamazione non ci saremmo liberati di D'Alema (e speriamo presto, anche della Bindi e di Fioroni e del resto dei beceri catto-oltranzisti di cui è ricco il partito).

Io in Matteo ho visto un cambio di paradigma, ho condiviso i punti del suo programma e della modalità corale con cui l'ha messo in piedi, ho visto il coraggio di una sfida senza precedenti, di uno che ha 10 anni meno di me e che dice "fatevi da parte, avete fallito, tocca a noi guidare il paese". Che è discorso logico, condivisibile, che in ogni paese del mondo avrebbe attecchito, mentre noi si è avuto paura, si è creduto alle favole dell'uomo nero toscanaccio venuto a prenderci tutti per i fondelli, si è preferito un burocrate sessantenne in politica da vent'anni ne flirta con l'UDC e dà spazio alla Bindi. Il vecchio che avanza, insomma.

Quando si sono saputi i risultati del ballottaggio ho twittato alcune cose. La mia preferita resta

Ora in TV @matteorenzi è immenso. Una grande prova di umiltà e di serietà. Sarebbe stato un grande premier. Per un paese migliore di questo.

Ecco, dato per scontato che questo penso di Renzi e continuo a pensare, due-idee-due sulle cose a venire

1) la vera posta in gioco diventa ora la legge elettorale. Se devo scommettere, scommetto che voteremo col Porcellum, che il il centro sinistra farà le primarie per scegliere i candidati (e forse da qui Renzi e i renziani verranno recuperati)
2) non so dire se il PdL farà le primarie o meno. O se SB tornerà in campo. È una situazione alla gatto di Shroedinger
3) media e comunicazione faranno di tutto per ridicolizzare il M5S e ridimensionarlo, esattamente come lo hanno gonfiato finora. Cosa non difficile dato il livello medio di preparazione umana culturale e politica degli esponenti dello stesso.

Ecco qua mi fermo, dato che non sono un politologo, ma solo uno che passava di qui, con due o tre idee in testa, e la voglia di condividerle.

07 aprile 2012

Life after love, in love.


Dusk over Trieste
Originally uploaded by Marco40134.
Che strano tornare al mio vecchio blog, e capire che dopo Twitter, dopo la comunicazione istantanea in 140 caratteri, uno spazio di approfondimento come questo fatica per me a essere funzionale.

Forse perché tendo a essere conciso, a pensare che in poco ci sta tutto. Anche se forse poi non è così.

Descrivere quest'ultimo anno, per esempio, per chi non mi ha seguito su Twitter, non si esaurisce in un tweet solo. Anche se potrei scrivere:

Un anno, un amore, tre traversate dell'Atantico, la Sicilia, la Slovenia, Londra. Cinquemila pubblicazioni (quasi). E cibo e lavoro e ingrassare e dimagrire e chiedermi tutto, dandomi risposte nuove. Ascoltare e parlare. Esserci, o provare a.

E cercare il proprio posto nel mondo... Il luogo dove si è a casa, dove c'è un fuoco a cui tornare, una luce nella notte, il calore, un letto da poco rifatto con le lenzuola che sanno di Marsiglia e lavanda, una gatta che fa le fusa tranquilla, un abbraccio che ti tiene e ti ripara nella notte, mentre fuori possono aggirarsi ogni sorta di fantasmi. Ma tu sei al sicuro. Al riparo. Vivo. Ma tu.

E se il posto nel mondo ce l'avevi e l'hai gettato via? Per infelicità, per follia, per la perdita momentanea del senso per una vertigine distruttiva, per quello che vuoi, ma l'ha buttato via, e ti sei illuso di poter vivere nel mondo, senza un porto fisso, senza un'ancora d'amore, senza un letto solo nostro.
Solo che quella fame d'amore è troppo forte, è la voglia di fare l'amore fino al cuore della notte e anche oltre, di condividere tutto, di cucinare assieme, fare la spesa, e comprare bicchieri di vetro rossi e padelle in ceramica e camminare mano nella mano e addormentarsi vicini e imparare tu la mia lingua e io la tua, io il tuo mondo e tu il mio.

E quindi il posto sulla terra lo cerchi ancora, che sia solo tuo ma aperto anche al tuo amore, cerchi di tornare a essere fuso un'altra persona ma senza perdere te stesso, a imparare a camminare uno a fianco dell'altro, nel mondo.

E dio come è difficile, come è irto di fantasmi. Questa storia odora dello stesso amore, dello stesso tenersi ed essere due bambini impauriti nel mondo e contro il mondo, che giocano a fare i grandi, odora dei pomeriggi d'estate in campagna e della cucina pregna di aromi nei sabato d'inverno. Sa del sale sulla pelle dopo un bagno, di un'attesa in aeroporto, di una notte tutta e solo di parole e di rabbia e di riconciliazione.

E allo stesso tempo, tutto è diverso. Sorvoli un altro territorio. Conosci altri sapori. Cucini altre cose, timidamente, forse goffamente, ma che sfamano ogni appetito, Le risposte sono diverse. Il gioco degli specchi ti riporta altre immagini. E' un gioco di musica, di canzoni, è la giovinezza, è la luce a nordest, è ballare a un concerto, è imparare a non avere paura, a essere condotto e condottiero, maestro e allievo. È la casetta verde davanti a casa tua, sono i ponti, le frontiere, i fiumi, che abbiamo attraversato assieme. Magari fermandoci a gettare via qualcosa, simbolicamente, uno scontrino del passato ormai non più rimborsabile, scaduto, che scompare nel vento, una sera, mentre ti tengo per mano.

28 settembre 2011

Sopra il cielo

Photo by BenODen http://www.flickr.com/photos/benoden/
E ascolto i REM e metto la telecamera dell'aereo sul video e resto ammutolito davanti all'oceano che diventa terra e nuvole sovrapposte alla terra che sono il suolo temporaneo di questa corsa da 6000 miglia. Prima, a metà viaggio, c'è stato un momento di tempesta e l'aereo ha ballato e nonostante le 23 gocce di En tremavo tutto, tremavo dentro e ho stretto le mani della persona che amo e non ho avuto paura non ho detto preghiere sono stato sospeso in uno di quei momenti in cui tutto dentro è possibile e fai un salto di consapevolezza e dici "vivi".
Io vivo e Sergio non c'è più e conto le volte che l'ho incontrato e quanto poco sapessi di lui e lui di me, ma mi sentivo un po' figlio suo. In modo omeopatico, ma sì.
Chi un padre non ce l'ha avuto, non davvero, non come conta, le figure paterne o le cerca e le idolatra o le fugge,le svilisce, ne diffida. Io sono sempre stato sospeso tra le due cose, un gatto di Heisenberg emozionale. E con Sergio, per quei minuti delle volte che l'ho incontrato, quelle ore, forse, nei primi anni '90, mi sono lasciato guardingamente ammansire, soverchiato dal rispetto, dalla statura morale, dal genio di cui non potevo che sperare di essere apprendista di serie C.
Per questo, ora, piangendolo, penso ai giornalini di Zagor che divoravo da ragazzino, ai Nathan Never ai Dylan Dog. Ma sono personaggi, storie, per definizione, immortali, che leggeranno i figli dei nipoti dei nostri nipoti su chissà quale supporto olografico alta definizione 3D. Io piango l'uomo, quel poco, pochissimo, infinitesimo brandello di uomo che ha toccato la mia vita, facendomi pensare tante volte "a 80 anni voglio fare ancora i fumetti e farli come lui" ben sapendo che quel tipo di editoria, di imprenditoria che sovverte il business con il cuore e vince proprio grazie al cuore, non ha quasi diritto di cittadinanza nel 21esimo secolo e che Sergio è stato l'ultimo o uno degli ultimi gentleman del fumetto, che vedeva gli albi come storie, come la creazione del sudore e del sangue di autori e disegnatori, e non come numeri in un tabulato, con un segno + o - al fianco.
Un'editoria ancora pura, che si sostiene con le copie vendute, con l'amore dei suoi lettori, ricorrendo poco o nulla a merchandising e multimedia. Si sostiene con la qualità e con la pazienza, con il nerbo degli uomini e delle donne che la creano. Con l'amore di chi la legge. Un'editoria che nel ricordo di Sergio in qualche modo sopravviverà, adattandosi ai tempi, venendo a patti con il presente, ma ci sarà. Per lui. Per noi. Per la nona arte che chiamiamo nostra e che riempie di sogni i nostri sogni. Oggi. Sempre.
Addio, Sergio. Vivo. Vivi.


01 febbraio 2011

Ogni cosa è illuminata (cit)


The view from my window
Inserito originariamente da Marco40134

Mentre il treno percorre la campagna francese, da Angouleme a Poitiers e poi oltre a nord, verso Parigi, con Ora di Lorenzo nelle orecchie. Guardo l’orizzonte e la leggera foschia dei giorni della merla, di un luminoso gennaio di inizio decennio , e penso e mi lascio guidare dalla musica e dalle parole.

Sono mesi che non bloggo. Il blocco del bloggatore. Eppure scrivo. Su twitter, soprattutto. Continuamente. Dico la mia, faccio la telecronaca dei miei passi, e duetto e cinquetto con amici e amiche virtuali e/o reali, o un po’ tutti e due le cose.

E se ci si abitua a dire tutto in 140 caratteri ti viene quasi il panico davanti al foglio di Word bianco, in cui di caratteri puoi metterne 1.000 o 10.000 o 100.000. Argomento: quello che vuoi tu. Scadenza di consegna; nessuna.

Oggi, nella pianura, a mille chilometri da casa, a trecento chilometri all’ora (e quanti al secondo?), cose e idee in ordine sparso.

Un periodo di lavoro intenso, un’onda di progetti che si espandono su ogni latitudine e tema, la sensazione di non avere abbastanza ore nel giorno per fare quello che devo e quello che voglio, e mi limito quindi a quello che posso, giostrandomi tra riunioni, chiamate, e-mail, presentazioni, proposte, business plan. Per un fumetto che diventa sempre più globale, trasversale, trans mediale.

Molto lavoro sui fumetti digitali, su quelli che scaricheremo da iTunes, o dalla rete, ed è un lavoro improbo e difficile. Il fumetto è un’esperienza totale, tattile, persino olfattiva. Tutti ci dicomo “go digital”, e ci si imbarca in un percorso difficilissimo per temi di licensing e diritti, in cui moltissimi autori o editori rifiutano il passaggio al digitale (ignorando il fatto che –piratati – ci sono online quasi tutti i fumetti del mondo).
E non parliamo di iTunes che applica la morale puritana americana a tutto, obbligandoci a censurare qualsiasi centimetro di pelle nuda o a escludere a priori dal nostro sistema qualsiasi fumetto un seno nudo (e sono un bel po’!). O del fatto che un fumetto online (o un libro) sia considerato un prodotto multimediale e non editoriale, con IVA al 15% anziché quella ridotta che si paga per giornali e pubblicazioni.
E questo percorso a ostacoli per poi andare a creare applicazioni che incassano qualche DECINA di euro al mese, o anche meno, ma con l’idea di una crescita esponenziale nei prossimi anni.
Alla quale sono il primo a credere, ma solo se si riuscirà (come?) a frenare la pirateria che ha distrutto alcuni settori dell’audiovideo, stremato l’industria musicale, e potrebbe anche modificare (e ridurre) la produzione fumettistica, finché almeno non si tratteranno i downloaders illegali come i delinquenti che sono (se rischio l’arresto per il furto di un libro in libreria, perché si tollera il furto di contenuti solo perché dematerializzati e digitali? Sempre furto è).

E sempre in tema di lavoro, decido di fare di nuovo il redattore di una collana, dopo quindici anni di assenza, e torno a curare un mensile, i FANTASTICI QUATTRO. Un po’ per caso e un po’ perché negli anni ’90 era una delle collane più vive con un traffico di corrispondenza coi lettori (cartacea all’epoca) davvero da brivido. E poi viene l’onda di notizie sul fatto che i USA si è deciso di ammazzare uno dei quattro, e il mensile dei FQ da collana un po’ di secondo piano diventa una di quelle da non perdere, con le storie iperscientifiche, quantistiche, universali di Jonathan Hickman, scrittore indy reclutato per rilanciare la più antica collana Marvel con un’infusione di nuove idee, personaggi, situazioni. Decido di metterci dentro come appendice anche SHIELD, l’altra collana di Hickman, dedicata alla storia segreta del Marvel Universe: protagonisti Leonardo Da Vinci, Galileo, gli antichi egizi, Nostradamus: una serie imprevedibile e originale, che parla dell’architettura alchemica e matematica, dell’elemento umano e super umano nella macchina, che l’autore sta intessendo in tutto quel che scrive.

Fuori dal lavoro, un altro anno, un altro decennio. Passi che si muovono, parole, nella corrente o controcorrente. Aspettare l’alba e guardarne i colori. Fotografare il mio viso che a volte è stanco e a volte no, con la barba che si allunga e si accorcia a seconda del tempo che ho per passare dal barbiere, con gli occhi che parlano e dicono sì, no, forse, ascolta, ti prego, ti amo, ciao, addio, a seconda.

Senza contare i passi, libero sotto le nuvole.