17 maggio 2007

Un post sul Posto


Le soap operas sono da sempre una delle mie piccole, segrete passioni. Non sto parlando dei telefilm, dei serial, delle telenovelas, ma proprio delle soap, del format americano della fiction quotidiana del pomeriggio: nate addirittura come drammi radiofonici degli anni ’50, sponsorizzate da ditte di detersivi (da qui l’insolito appellativo di “opere di sapone”), le soaps sono un unicum nel panorama della fiction. Sono, per loro stessa definizione e concetto, infinite. Ogni giorno, fino a 220 volte l’anno, portano avanti una cattedrale narrativa che si dipana per decenni, o a volte solo per uno/due lustri, intrecciando le vite fittizie di decine, dozzine di personaggi.
Le soap, con le loro convenzioni, le loro banalità, le loro genialità, le loro follie, sono spesso kitsch, ripetitive, e solo di rado sfociano nel (relativo) sublime, grazie a un attore o a un’attrice ispirati, o a uno sceneggiatore che per una puntata, o dieci, o cento, riesce a dare un afflato originale a un intreccio che inevitabilmente non può non cadere nello stantio, una o più volte all’anno o al decennio. Vedere una soap per chi si occupa professionalmente di fiction rappresenta – a parte un piccolo piacere peccaminoso o il momento di decerebrato trastullo della giornata - anche la maniera di analizzare e comprendere come e con che trucchi si possano riuscire a portare avanti narrazioni ciclopiche per un tempo virtualmente illimitato.

Ordunque, fatta questa premessa, non vi parlerò stavolta di soap americane, delle varie General Hospital, Sentieri, Capitol, Una vita da vivere, che negli anni ’80 e ’90 hanno variamente assorbito la mia attenzione: soprattutto su Sentieri, alias Guiding Light, o GL per gli amici, potrei intrattenervi per dozzine di pagine, ma data la fine che sta facendo la serie, maciullata da ReteQuattro, mi verrebbe un bel po’ di tristezza. Voglio invece fare un post sul Un Posto Al Sole (UPAS) , l’unica soap italica degna di questo nome, che ogni giorno, da dieci anni, intrattiene qualche milione di persone su RaiTre. Grazie alla magia di MySki riesco dall’anno scorso a seguire UPAS, anche se in differita, ed è da un po’ che medito di condividere con voi le mie impressioni di spettatore.

Anzitutto, vedo UPAS da mesi, ma non sono ancora certo che mi piaccia davvero fino in fondo. Abituato al “modulo” delle soap americane, con intrecci lentissimi e intricati, spruzzatine di intrighi internazionali, serial killer, gente che muore e torna dalla tomba, fantasmi, poteri paranormali ETC, Un posto al sole sembra un po’ slavata, come soap. Dopo un po’ che la si vede, però, ci si inizia ad abituare, si entra nel gioco: l’ambientazione casalinga, gli intrecci mai troppo intricati, che si dipanano molto in fretta, le iniezioni di pura commedia napoletana, i personaggi macchietta contrapposti a quelli drammatici, ognuno che genera “linee orizzontali” che corrono parallele, senza intrecciarsi quasi mai, e così facendo diventano il motore narrativo della serie. Le cose che più mi deludono sono che spesso UPAS sembra tirare via le varie linee drammatiche. Costruisce una situazione, la alimenta, magari anche bene, per qualche settimana, e poi “paf”, nel giro di una-due puntate, si risolve tutto così sbrigativamente, che quasi non ci viene mostrato l’epilogo o la “chiusura”. Per non parlare poi di personaggi cruciali che scompaiono e vengono dimenticati, di elementi di “continuità” che languono, di storie abbozzate e poi lasciate in un angolo. A volte ho quasi l’impressione che gli sceneggiatori di UPAS non sappiano che pesci pigliare: solo negli ultimi 12 mesi, sono state introdotte e archiviate la trama del marito di Marina Giordano, quella del rapporto tra Franco e Giovanna, tra Michele ed Emma, quella delle trasgressioni matrimoniali di Renato, quella dello sbandamento di Ornella, le vicende di Viola e del suo professore. E’ tutto talmente caleidoscopico, affetto da coitus interruptus soapoperisticus, che mi spazientisco non poco.
Tuttavia, diciamocelo, quando Un posto al sole funziona, funziona benissimo. Le perfidie di Marina, il triangolo Diego/Carmen/Filippo, l’amore abortito tra Giovanna e Franco, l’attuale intreccio melodrammatico tra Niko e Valeria, l’incubo crescente di Silvia nella mani di Achille, sono tutti momenti molto ben riusciti, nell’economia e nella storia della serie. Rimane solo il rimpianto di una soap che funziona solo all’80% o al 90%, e cui basterebbe poco per avere lo smalto che merita: un po’ di coraggio in più, la voglia di andare fino in fondo, smettendo l’andamento ondivago degli ultimi tempi. Ma dato che come soap, UPAS è senza fine, si può sempre aspettare, aspettare, aspettare…

2 commenti:

Fabrizio ha detto...

Ciao Marco. Non guardo UPAS ma temo che spesso le vicende siano pilotate in base ai dati di ascolto e comunque sempre molto aderenti al target. Forse gli americani sono più abituati a certi tipi di fiction in cui mischiare elementi di narrativa di genere, arrivando quasi all'horror. La sciura italiana insorgerebbe davanti a cose simili.
Però è divertente osservare come espedienti narrativi simili siano usati anche nei comics. E leggendo un articolo su "Series" ero rimasto incuriosita da come venivano pilotati i twists, in modo da alzare i prezzi degli spazi pubblicitari...

Saluti

Fab

William Wilson ha detto...

A proposito di soap... quando verrà trasmesso l'episodio di Guiding Light/Sentieri in cui un personaggio acquisisce dei supeerpoteri, preambolo di un bizzarro cross-over con i Nuovi Vendicatori, potremo contare su una segnalazione sugli albi Panini/Marvel Italia?

Non sono un fan della serie, ma quell'episodio lo guarderei volentieri - anche estrapolando personaggi e situazioni dal contesto - giusto per il puro e semplice divertimento di assistere a una tale commistione di generi ;)